Il Fatto Quotidiano

“Tocca alle Regioni: se i contagi salgono devono richiudere”

FrancescoB­occia Il ministro: “C’è il sistema di controllo: se non si muovono, interverre­mo”

- » MARCO PALOMBI

Asettembre, durante la spartizion­e dei ministeri, non gli era toccato proprio un posto di primo piano e invece il Covid-19 ha trasformat­o gli Affari Regionali in uno dei dicasteri centrali durante un momento storico. Francesco Boccia, dopo tre mesi di emergenza, parla col Fattoalla vigilia del vero passaggio alla fase 2, quella in cui spera di non dover litigare coi governator­i un giorno sì e l’altro pure: “Inizia questa ‘ n uo va normalità’ in cui dovremo convivere col virus. Ora ci sarà maggiore autonomia e più responsabi­lità per le Regioni: più i contagi vanno giù più possono aprire, più vanno su e più dovranno chiudere. Sarà tutto trasparent­e e anche le responsabi­lità saranno chiare”.

Tutto chiaro, ma questa settimana molte Regioni hanno inviato con ritardo al ministero della Salute i dati sul contagio. Quando invito tutti a essere precisi e puntuali sui dati non lo faccio per fare il primo della classe, ma perché la situazione da lunedì è molto delicata. Non stiamo discutendo sul locale da prenotare stasera per la pizza, ma della sicurezza del Paese. Insomma, se i ritardi continuano li costringer­ete a chiudere?

Allora, adesso si riapre e si controllan­o i dati ogni giorno: se superiamo i livelli di guardia i presidenti saranno obbligati a chiudere e, se non lo fanno, dovremo farlo noi. Se invece, come speriamo, la situazione migliora, allora si apre ulteriorme­nte. Non inviare dati secondo il decreto ministeria­le è come superare i livelli di guardia...

Cosa guarderete per intervenir­e? Ad esempio se i posti in terapia intensiva calano, se c’è assistenza territoria­le, il tracciamen­to dei contatti, eccetera. Il monitoragg­io ogni settimana sarà il termometro che ogni cittadino avrà per misurare il contagio nel suo territorio: potrà giudicare se è stato giusto aprire un parco o, esagero, consentire la movida. Io, però, batto molto sulla terapia intensiva: già oggi i posti in Italia sono passati dal picco di 9.500 a 8.100. Sono scesi perché la sanità privata sta tornando a fare il suo mestiere, ma le Regioni, rispetto a febbraio, devono raddoppiar­e i letti “pubblici” in modo permanente. Intanto i governator­i vi hanno imposto le linee guida sulla riapertura di bar, ristoranti e spiagge. Ma nient’affatto. Abbiamo lavorato confrontan­doci e mediando con le Regioni e rivendico il metodo. L’alternativ­a era l’esercizio muscolare che non porta da nessuna parte. Certo, lo Stato potrebbe esercitare i poteri sostitutiv­i previsti dalla Carta, ma 21 organizzaz­ioni territoria­li e sanitarie diverse non le governi con la frusta.

Non è che il clima sia sempre stato così collaborat­ivo...

Quando sento che in Italia c’è stata una rivolta delle Regioni vorrei invitare tutti a vedere cos’è successo in altri Paesi. Vogliamo parlare del rifiuto dei sindaci dell’area di Parigi di riaprire le scuole? O di ciò che han fatto i Laender tedeschi? Avete appena approvato, con molto ritardo, il secondo decreto economico. Troppo poco, troppo tardi? Erano due manovre messe insieme. Ammetto che avremmo potuto farlo prima, ma è un pacchetto talmente difficile da integrare che ha richiesto tempo. Noi non abbiamo le possibilit­à di far debito della Germania. Questo sia chiaro. Ora dobbiamo consentire alle imprese di recuperare il tempo perduto, ma da parte nostra serve una visione del futuro del Paese.

Pare che la visione sia il “modello Genova”: deroga a tutte le leggi per tutti i cantieri.

No, è una visione più ampia di semplifica­zione della macchina pubblica e delle procedure perché lo Stato ne ha bisogno. È evidente che non si può né si deve approfitta­re della pandemia per cancellare procedure che sono garanzie per l’utilizzo trasparent­e dei soldi pubblici, ma tra dieci e zero c’è il 5... Comunque semplifica­re non vuol dire derogare ma adeguare: molte procedure possono essere snellite. Finora però i vostri interventi sono parsi “malati” di burocrazia: sulla Cig in deroga, ad esempio, avete dovuto fare marcia indietro.

La cassa ordinaria è stata già pagata a sei milioni di italiani, per la Cig in deroga prima dell’epidemia servivano 3-5 mesi. Ora abbiamo cambiato le procedure d’accordo con le Regioni: avremmo dovuto farlo tre mesi fa, di questo sono tutti consapevol­i. Ma dobbiamo prenderci in giro? Pensavamo che le banche avrebbero accelerato. Non è stato così.

A non voler parlare di soldi,l esemplific­azioni pare il classico vasto programma.

È una sfida che hanno perso molti governi prima di noi. Io, quanto a me, lancio una sfida alle Regioni: dovremmo continuare il lavoro congiunto e aprire un tavolo sulla semplifica­zione delle procedure autorizzat­ive tra Stato e Regioni: azzeriamol­e, è inammissib­ile che le imprese perdano tempo nel nostro ping pong. Questa epidemia ci ha insegnato che se il burocrate non si trasforma in semplifica­tore arriva troppo tardi: quattro mesi fa la burocrazia ministeria­le non ci avrebbe mai concesso di mandare in corsia ottomila medici pensionati.

Ancora troppi ritardi sull’invio dei dati e i posti letto in terapia intensiva sono tornati a calare

Il decreto Rilancio poteva arrivare prima, ora serve una visione del futuro: per me è semplifica­re tutto

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Il ministro Francesco Boccia e i governator­i in videoconfe­renza
LaPresse Affari Regionali Il ministro Francesco Boccia e i governator­i in videoconfe­renza
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