Il Mef riscrive il dl “Rilancio”: brutte abitudini dure a morire
Mal comune, mezzo gaudio, si dice. L’altro mezzo, però, continua a essere una procedura i l le g i t ti m a di legificare, anche se l’hanno adottata tutti i governi degli ultimi anni. Ci riferiamo al cosiddetto decreto Rilancio, fu aprile, approvato martedì all’esito di un travaglio durato un mese e mezzo. Alla fine ne è venuto fuori un ircocervo di circa 250 articoli in cui si è tentato, a volte con successo, di infilare un po’ di tutto: ci sono i provvedimenti anti-crisi economica e ce ne sono moltissimi ordinamentali di cui non si capisce l’urgenza (corposo il pacchetto del ministero dei Trasporti).
Il punto, però, non è neanche che un mostro del genere, le cui norme entrano subito in vigore, sarà difficilmente analizzabile appieno dal Parlamento nei 60 giorni di rito, quanto che da martedì il testo è ostaggio del ministero dell’Econo mia dove è sottoposto a un processo di ri-scrittura da parte della Ragioneria generale dello Stato. Questo è il punto, tanto più che, a stare al comunicato ufficiale, questo decreto non risulta nemmeno approvato “salvo intese”, la pudica formula con cui in genere si dice che un testo definitivo non c’è.
Come detto, si tratta di un modo illegittimo di legiferare, specie per i decreti legge, coi quali – per così dire – il governo si sostituisce al Parlamento emanando norme immediatamente operative. La legge che regola l’attività del governo è molto precisa: è il Consiglio dei ministri l’unico organo autorizzato a emettere atti di questo genere e deve farlo consentendo a ogni singolo suo membro di prendere visione di tutte le norme per tempo. Questa abitudine, ancorché inveterata, di approvare decreti, fare conferenze stampa e poi prendersi qualche giorno per scrivere i testi non va bene: chi assicura ai ministri che quel che hanno votato martedì sia quello che uscirà in Gazzetta Ufficiale? Il famo a fidasse, pure tradizionale a Roma, non è categoria giuridica.