Non chiediamo a Dio ciò su cui non siamo disposti a impegnarci
In questa quinta domenica dopo Pasqua – chiamata Ro
gate (Pregate) nell’antica liturgia cristiana – leggiamo il brano dell’insegnamento del Pa
dre nostroda parte di Gesù in cui, però, troviamo una sua parola che potrebbe apparire contraddittoria: “il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che
gliele chiediate” ( Matteo 6,8). Domanda: se Dio sa già tutto di noi perché pregare? E perché pregare con la preghiera che Gesù insegna? Non sarebbe meglio risparmiare tempo e fiato? Effettivamente, molte persone pensano che pregare sia tempo sprecato, tanto, se Dio c’è, vuoi che non sappia le cose di cui abbiamo bisogno? Certo che lo sa, lo dice anche Gesù nel versetto appena citato. Ma noi lo sappiamo? Noi conosciamo le cose di cui abbiamo veramente bisogno e sappiamo come chiederle? Forse no. Perciò, con questa preghiera, Gesù ricorda quello di cui abbiamo veramente bisogno e che possiamo e dobbiamo chiedere al “Padre nostro”, distogliendo la nostra attenzione da ciò che non è veramente essenziale e su cui probabilmente ci affanniamo troppo.
IL PADRE NOSTRO è l’unica preghiera comune di tutte le varie confessioni cristiane perché è l’unica preghiera che si fonda su un insegnamento diretto di Gesù. Naturalmente si possono dire anche altre preghiere, in forma fissa o spontanea, ma questa è proprio particolare, e il suo richiamo a ciò che è essenziale merita di essere ripetuto perché ripetutamente noi caschiamo nei nostri errori e ripetutamente abbiamo bisogno di essere rialzati e avviati per la strada giusta, che è quella della ricerca di ciò che dà valore e senso alla vita, alla nostra e a quella degli altri. Il pane per esempio, la giustizia e la misericordia, il perdono e la riconciliazione, la salute della mente e del corpo, la reciprocità e socialità
fraterne e solidali. Troviamo tutto questo nelle poche frasi insegnate da Gesù, senza chiacchiere
inutili e ripetitive: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal male” ( Ma tteo 6,9-13).
La preghiera è una pratica religiosa tra le più a rischio ipocrisia. Lo sa bene anche Gesù: “Qua ndo pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare (...) per essere visti dagli uomini (...). Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole” (Matteo 6,5-6). Il rischio ipocrisia aumenta enormemente quando si chiede a Dio qualcosa
per cui noi non siamo disposti a impegnarci, almeno per quanto umanamente possibile. Uno dei più grandi teologi protestanti del Novecento, Karl Barth, nel corso di una sua conferenza chiese: “Può uno continuare seriamente a pregare senza compiere il lavoro corrispondente? Possiamo noi chiedere a Dio qualcosa che nello stesso momento non siamo determinati e preparati a portare avanti nei limiti delle nostre responsa
bilità?”. Era il 1938 e Barth si interrogava sulla responsabilità dei cristiani di fronte al crescere del nazionalismo che avrebbe portato alla guerra ma che aveva già schierato tutto il suo arsenale di odio contro gli oppositori politici e contro chi attentava alla “purezza della razza”. Lo stesso interrogativo vale per ogni questione che in preghiera si pone nelle mani di Dio: possiamo chiedere a Dio qualcosa per cui noi non siamo disposti a impegnarci? Evidentemente no.
P.S. DIMENTICAVO: esiste anche l’anti- preghiera, quella che odia e maledice il diverso da me ( oggi è la Giornata mondiale contro l’omofobia!) o chi compie scelte che non condivido e tantomeno capisco. Insomma, la preghiera è cosa da maneggiare con cura e mai va trasformata nel suo opposto.
IL “PADRE NOSTRO” Ripetutamente caschiamo nei nostri errori e ripetutamente abbiamo bisogno di essere rialzati e avviati per la strada giusta