Addio alle classi pollaio, si studia bene: manca solo il bonus-mamma
La scuola materna ai tempi del coronavirus funziona così: tu ascolti i mille video delle maestre, poi dipingi, tagli, incolli, mentre l’u nder cinque spizzica i filmati, poi si stufa, poi colora un po’, poi se ne va fuori mentre tu lo insegui per mettere la foto sul drive . Non molto diversamente va la scuola elementare o le medie: il ragazzino va assistito continuamente, primo nel trovarli, i compiti, poi stamparli, lavorare insieme, scannerizzare. Va detto che anche prima della pandemia – vista la scarsa autonomia dei nostri figli, che a dieci anni a malapena si allacciano le scarpe – l’assistenza ai compiti portava via un bel po’ di tempo. Ma sicuramente il virus ha fatto tornare in auge il vecchio vessillo dell’home schooling, bandiera ideologica che molti genitori rivendicano. D’altronde, nel nostro paese non è obbligatoria la presenza sui banchi, ma l’istruzione: quindi l’educazione a distanza, a casa, anche in piccoli gruppi, è possibile. Certo, questa istruzione priva i bambini di molte cose, una socialità più vasta, anzitutto. Ma ha anche molte frecce al suo arco: una grande intimità con i genitori-educatori, la possibilità di lavorare con più tempo, senza classi pollaio, con una didattica decisamente dedicata.
E dunque forse si potrebbe rivalutare questa pratica, anche perché è possibile che di crisi sanitarie-ecologiche, con relative quarantene, ce ne saranno ancora. C’è solo un ma: l’home schooling non è retribuito e forse non è del tutto giusto. Perché se io non mando mio figlio a scuola, lo stato risparmia e quei soldi potrebbero tornare indietro a una madre entusiasta di insegnare. Un po ’ come per il parto in casa, checché se ne pensi: oggi molte regioni lo rimborsano, perché l’ospedale non spende una lira. Ma forse è una visione troppo liberale, in un paese ex cattocomunista, ora ultraliberista, ma che per il liberalismo vero non è mai passato.