“CASO DI MATTEO”, IL CONFLITTO È INESISTENTE
Ne ll ’ intervista resa domenica scorsa a La Repubblica, la presidente del Senato Casellati ha dichiarato, in relazione al “ca so Bonafede- Di Matteo”: “S on o preoccupata. Per la prima volta nella storia della Repubblica registro un conflitto grave tra un membro del Csm e il ministro della Giustizia, che sono espressioni di due organi interdipendenti. Certo è che un conflitto di questo genere non può restare senza risposta. Anche il Csm deve fare la sua parte. L’amministrazione della giustizia esige in primo luogo regole e giudizi eguali per tutti, perché non sopporta opacità di sorta. Solo così si può riconquistare la fiducia dei cittadini”.
TRALASCIANDO qualsiasi considerazione in ordine all’ul timo periodo che afferma cose ovvie e che non hanno nulla a che vedere con il “caso Bonafede-Di Matteo” della “pasionaria Berlusconiana” sono, anche storicamente, prive di qualsiasi fondamento.
Innanzitutto, nel caso in questione, non vi è stato alcun “conflitto”, tantomeno “grave”, tra un membro del Csm e il ministro della Giustizia. Quando Bonafede propose a Di Matteo nel giugno 2018 la nomina a capo del Dap, per poi ritrattarla il giorno dopo quando il magistrato aveva dato la sua disponibilità, quest’ultimo non era membro del Csm e il fatto che egli abbia rivelato tali circostanze alcuni giorni orsono, divenuto, nel frattempo, componente di tale organo, non cambia alcunché perché egli non ha contestato il ministro in virtù del suo “status” di componente del Csm, ma addirittura non lo ha proprio contestato essendosi ben guardato dal muovere censure al Guardasigilli per la sua scelta del capo del Dap nella (diversa) persona di Francesco Basentini, nomina (forse sbagliata) che, comunque, rientrava nella esclusiva competenza del ministro. Sarà opportuno ricordare alla Casellati che un “c onf litt o” ( di quelli veri) tra il Csm e il ministro di Giustizia – (trasformatosi in un duro scontro tra alcuni membri e il Guardasigilli) – vi fu nel 1992 in occasione della nomina del (primo) Procuratore nazionale antimafia quando tre componenti del Csm – (i due togati Alfonso Amatucci dei “Ve rd i” e Gianfranco Viglietta di M.D. e il laico del Pds Franco Coccia) – votarono a favore di Agostino Cordova, e due (giustamente) a favore di Giovanni Falcone (uno si astenne).
Il ministro Martelli non si pronunciò sul “concerto” (previsto per gli incarichi direttivi) e chiese altra documentazione che il Csm rifiutò di inviare. Lo scontro, violento, prolungato – (terminò solo con la morte del valoroso e coraggioso magistrato nella strage di Capaci) – finì per personalizzarsi con accuse nei confronti del ministro, che “voleva imporre al Csm il suo candidato”, e dello stesso Falcone, al punto che il ministro sentì il dovere di affermare: “I membri del Csm, che hanno sferrato una campagna propagandistica contro il giudice Giovanni Falcone hanno compiuto un’infamia”, ottenendo come risposta un atto di citazione con il quale il laico Coccia chiedeva al Guardasigilli un risarcimento di un miliardo di lire (!!).
CASELLATI SBAGLIA
La presidente del Senato ha chiesto un intervento dell’organo supremo: non è che auspica una “censura” per il magistrato?
COSÌ CIRCOSCRITTOnei suoi giusti (e modesti) termini il “caso Bonafede-Di Matteo”, la sortita della seconda carica dello Stato – che si dichiara “pr eo cc up at a” perché “il conflitto è grave” e necessita di “una risposta” e che “anche” il Csm deve fare “la sua parte” – fa sorgere un dubbio: non è che, per caso, la “risposta” riguardi la sfiducia presentata in Senato dall’opposizione nei confronti del ministro di Giustizia e che “la parte”, che si vuole il Csm faccia, consista in una delibera che censuri il comportamento del consigliere Di Matteo ?