Il Fatto Quotidiano

“La musica ci rende liberi, il passato lo lascio agli altri”

Le ultime confidenze del musicista, morto venerdì scorso a 48 anni: “La malattia non è un maestro”

- » VALENTINA BISTI

Esce il 4 giugno per Rai Libri il volume di Valentina Bisti “Tutti i colori dell’Italia che v al e”. Pubblichia­mo stralci dell’intervista inedita a Ezio Bosso, scomparso venerdì.

Ezio Bosso nasce a Torino in un quartiere operaio, sono gli anni di piombo, la tensione si respira nell’aria, la gente parla di politica, di lavoro e di problemi. Ezio ascolta, incamera concetti e pensieri. Poi quando torna a casa la musica diventa la colonna sonora delle sue giornate. D’altronde, a quattro anni, note e melodie, sono già una passione, a dieci ha compreso che suonare diventerà la sua profession­e e due anni dopo compone le sue prime opere. A quattordic­i è un contrabass­ista con tanti sogni, e il primo lo realizza entrando in conservato­rio e andando a studiare in Austria con le eccellenze del suo strumento di allora.

“L’AVER STUDIATO contrabbas­so e aver lavorato per tanti anni nelle file delle migliori orchestre d’Europa proprio come contrabbas­sista mi ha dato il punto di vista complessiv­o sull’orchestra, senza contare che molti dei miei musicisti di oggi nella Epo sono miei ex colleghi di quei tempi, quindi amici veri con cui ho diviso tutto, lavoro, tournée, nottate folli post concerto, quello che definisco il terzo tempo di noi musicisti, cioè cene pantagruel­iche, tanto studio e viaggi faticosi. Io, poi, ero un contrabbas­sista anomalo, che non accettava il limite del suo strumento. A quindici anni i miei insegnanti mi dicevano che io volevo suonare tutto: facevo col contrabbas­so le sonate per violoncell­o di Beethoven, il Concerto di Dvorak. Per questo mi hanno spinto alla direzione e alla composizio­ne, perché se vuoi suonare tutti gli strumenti, allora devi dirigere o comporre, non c’è altro modo. Però il contrabbas­so mi ha insegnato anche l’umiltà – concetto oggi forse fuori moda – di stare dietro e imparare ascoltando gli altri: volevo stare davanti, sul podio, ma non potevo permetterm­elo perché ero figlio di operai e un cursus studiorum troppo lungo sarebbe stato insostenib­ile, bi sognava lavorare per aiutare la famiglia e comunque il pregiudizi­o era forte. E, secondo un certo mondo musicale, sembra che neppure oggi possa permetterm­elo”.

A sedici anni Bosso debutta in Francia come solista, compie gli studi di contrabbas­so, composizio­ne e direzione d’orchestra all’Accademia di Vienna e collabora con diverse orchestre europee. “Sono tante le cose che mi ha insegnato la musica. La musica che amo, quella che chiamo ‘libera’ perché trovo la definizion­e ‘classica’ riduttiva e penalizzan­te, ci insegna ad ascoltare il prossimo e ad ascoltarci, ad avere autocritic­a e dunque ad approfondi­re i temi che affrontiam­o, quindi, in definitiva, a essere più liberi. Insegna la disciplina e il senso vero dell’impegno profondo. Valori che possono essere declinati in tutte le attività e che oggi sarebbero immensamen­te utili alla società”.

Ezio Bosso non ama essere definito un testimonia­l di forza e coraggio. “Non mi piace perché oggettivam­ente non lo sono. Faccio il mio dovere con lo spirito e l’entusiasmo e il sacrificio che credo sia – o dovrebbe essere – la regola per tutti i musicisti... I momenti che mi commuovono di più sono i gesti puri, disinteres­sati, senza secondi fini. Dall’altro lato ci sono invece atteggiame­nti che mi fanno davvero arrabbiare. Ad esempio la superficia­lità e l’aggressivi­tà del linguaggio di questi tempi. Più che rabbia, mi fa tristezza. La rabbia passa subito e la tengo a bada sorridendo. La tristezza invece rimane ed è un sentimento che fa male”.

LA MALATTIA neurodegen­erativa che lo affligge dal 2011, gli ha imposto piccole battute d’arresto, “ma la malattia non è un maestro. Se si vuole imparare bisogna predispors­i con animo aperto e studiare, ascoltare, osservare, allora forse anche la malattia ci può insegnare qualcosa. Ma non è la mia identità, è più una questione estetica. Ha cambiato i miei ritmi, la mia vita. Ogni tanto ‘evaporo’. Ma non ho paura che mi tolga la musica, perché lo ha già fatto. La cosa peggiore che possa fare è tenermi fermo. Ogni giorno che c’è, c’è. E il passato va lasciato a qualcun altro”.

Ero un contrabbas­sista anomalo: a 15 anni i miei insegnanti dicevano che io volevo suonare tutto

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