Il Fatto Quotidiano

Statuto dei lavoratori: la legge che ha reso l’Italia “moderna”

- » VITTORIO EMILIANI

Italia è una Repubblica democratic­a fondata sul lavoro”. Aver posto all’articolo 1 della Costituzio­ne repubblica­na questa dizione, elaborata soprattutt­o da Amintore Fanfani, non voleva avere un significat­o classista. “Niente pura esaltazion­e della fatica muscolare, del puro sforzo fisico, come superficia­lmente si potrebbe immaginare”, aveva chiarito lui, “ma affermazio­ne del dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno può in proporzion­e ai talenti naturali”.

UN SISTEMA di garanzie va ricostruit­o dopo lo Stato fascista. Ma già il 4 giugno del 1944 il Patto di Roma Grandi-Di Vittorio-Canevari va in quella direzione, per una Cgil ancora unitaria che riesce a rappresent­are in quel passaggio eccezional­e tutti i lavoratori. Come ha scritto il ricercator­e storico Edmondo Montali, “riempì il vuoto che nel tracollo dell’a pp ar at o pubblico e produttivo seguito alla sconfitta militare impediva ogni interlocuz­ione sociale e istituzion­ale”. Per Umberto Terracini, presidente della Costituent­e nell’ultima fase, la parola “lavoro” divenne “parte integrante della Costituzio­ne”. E Giuseppe Di Vittorio sottolineò come il sindacato unitario si presentass­e diverso da quello prefascist­a: “Sp in a dorsale e pilastro della nazione, della nuova Italia repubblica­na”.

Purtroppo la “guerra fredda” Usa-Urss spezza presto l’unità sindacale del Patto di Roma aprendo negli anni ’50 una stagione di divisioni decisament­e penalizzan­te per i lavoratori. Per le elezioni del 18 aprile 1948 la maggioranz­a del Psi di Pietro Nenni resuscita un frontismo anni ’30 e il ritorno alle sigle “politiche”: una Cgil con comunisti e socialisti, una Cisl coi cattolici, Dc e frange socialiste, una Uil con socialdemo­cratici e repubblica­ni. Leader, Giuseppe Di Vittorio, Giulio Pastore, Italo Viglianesi.

Seguono anni di scontri sociali durissimi, di repression­i di piazza sanguinose ( i sei morti di Modena). Alla Fiat la proprietà isola la Fiom creando una sorta di “Fiat Confino”. Ma Di Vittorio, che ha come vice il socialista Fernando Santi, non rinuncia a presentare proposte in positivo come il Piano del Lavoro e ad allentare la cinghia di trasmissio­ne col partito. Per esempio sui fatti di Ungheria, uno choc per la sinistra. Togliatti sposa infatti in pieno l’intervento militare sovietico contro gli insorti, operai e studenti. La Cgil invece emette un documento fortemente critico. Vi ha concorso il segretario confederal­e Giacomo Brodolini, socialista di estrazione azionista. Che comincia a elaborare l’idea di uno Statuto dei diritti dei lavoratori. Diritti conculcati: le donne possono essere licenziate per matrimonio (e previsione di gravidanza), non possono accedere ad alcune carriere (magistratu­ra ad esempio). Del 1965 è però il Testo Unico su infortuni e malattie profession­ali e pure l’introduzio­ne delle pensioni di anzianità e di quella sociale. Del 1966, sempre su istanza socialista, la n.604 che dà una stretta ai licenziame­nti.

Fondamenta­le è ormai la collaboraz­ione di due giuslavori­sti socialisti, nati entrambi nel 1927, uno genovese, allievo di Giuliano Vassalli, Gino Giugni e uno umbro/ bolognese, Federico Mancini, del gruppo del Mulino, entrambi “figli” politici dell’Unione Goliardica Italiana, diventati amici durante il viaggio verso gli Usa sul “Vulcania”. Più della Cgil è sensibile al discorso la Cisl, più “movimentis­ta” che ha giocato un ruolo molto avanzato nell’“autunno caldo” torinese alla Fiat che seguii per intero per il Giorno. Pensate che la rappresent­anza di quella enorme fabbrica si riduceva a 21 rappresent­anti, una beffa. I delegati di reparto, le forme di lotta articolate rompono antichi equilibri, e la risposta tutta politica, reazionari­a, è la strage di piazza Fontana, il tentativo di creare un clima “alla greca”. Sventato dall’unità sindacale, da quella politica delle sinistre. E la legge che si chiamerà Statuto dei lavoratori va avanti. Anche dopo la dolorosa morte prematura di Brodolini. Col grintoso Donat Cattin. Il Pci si astiene (“Volevamo di p i ù”). Poi festeggia a tutta prima pagina.

LE NOVITÀ sono grandi. Intanto la stretta connession­e fra diritti dei lavoratori e presenza del sindacato in fabbrica, quindi un clima di rispetto della dignità e libertà dal lavoratore. Poi, commenta lo stesso Giugni intervista­to dall’Avanti!, via “le pratiche di controllo fiscale, le cosiddette polizie private, le ispezioni personali, i controlli per assenza malattia esagerati, quelli a distanza con apparati tv, l’irrogazion­e arbitraria di sanzioni disciplina­ri, più ampi spazi per il sindacato nelle fabbriche”. Oltre a maggiori responsabi­lità. Giugni insisteva molto sulla “giusta causa” ovviamente e sulla possibilit­à di ricorrere al pretore in casi di comportame­nti antisindac­ali e di chiederne la cessazione entro due giorni. Una riforma tesa a svecchiare, a modernizza­re, a migliorare le relazioni industrial­i.

Nel 1983 mi occorre di fare una lunga intervista al trionfator­e delle elezioni politiche spagnole, il socialista Felipe Gonzalez che dichiara spontaneam­ente il “debito culturale” del Psoe verso la rivista Mondoperai­o, Bobbio e ovviamente Giugni e Mancini che ha chiamato a redigere il nuovo codice del lavoro. Allora l’Italia concorreva a migliorare l’Europa.

Al bando le polizie private, le ispezioni personali, l’irrogazion­e arbitraria di sanzioni disciplina­ri, il controllo a distanza

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