Il Fatto Quotidiano

Quando l’editore vince sempre: criticare la Fiat non è barbarie

- » ENRICO FIERRO

Caro Coen, come diceva il Principe de Curtis, sono uomo di mondo e ho pure fatto il militare a Cuneo. Quindi capisco che quando l’editore-padrone chiama, tu direttore rispondi. Soprattutt­o se il padrone è la Fiat. Che chiede un prestito più che agevolato di 6,3 miliardi, e qualcuno ( finanche nel disastrato centrosini­stra) protesta ricordano la storia delle società nei paradisi fiscali europei. Apriti cielo, perché subito scende in campo una nutrita pattuglia di commentato­ri, editoriali­sti, storici della domenica, per “ripristina­re la verità”. Ovviamente la loro verità. Chi oggi attacca la Fiat (e a cascata tutti gli altri potentati finanziari) è un selvaggio, un assatanato luddista da indicare subito al pubblico ludibrio. Ha scritto giorni fa Massimo Giannini, direttore de La Stampa: “Un’idea tanto rozza dei rapporti tra economia, politica e informazio­ne non esisteva neanche negli Anni ’ 50, quando a Torino la Fiat e il Pci costruivan­o la trama delle relazioni industrial­i del Paese”. È l’inizio di una narrazione dell’Italia del dopoguerra (ricostruzi­one, boom economico) tutta rose e fiori. Sembra di vederli i leader del Pci e della Cgil intenti con Agnelli e Valletta a costruire “trame”. La Storia non andò esattament­e così. Ricostruzi­one e boom sconvolser­o il Paese in modo selvaggio. Lo scontro sociale era fortissimo, le sofferenze di intere aree sociali indescrivi­bili. Servivano braccia e il Sud (impoverito e tradito da una riforma agraria sempre più svuotata dei suoi aspetti innovativi) moriva. In soli cinque anni, dal 1958 al 1963, dal Mezzogiorn­o partirono un milione e mezzo di persone verso le regioni del triangolo industrial­e. Tanti Rocco e i suoi fratelli presero il “Treno del sole” e si ammassaron­o nella stazione di Torino Porta Nuova. Paesi abbandonat­i. Famiglie divise. Tanta sofferenza, e lotte, scioperi per condizioni di vita umane. Questa è la “nostra” Storia. Mi iscrivo al partito dei “rozzi”, perché il dolore di milioni di uomini e donne vale più di 6,3 miliardi di euro.

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