Il Fatto Quotidiano

Covid 19, le colpe individual­i “Medico infetto, ma nessuno allerta i pazienti già visitati”

- CARLUCCIA ALESSANDRA » SELVAGGIA LUCARELLI

CARA SELVAGGIA, oggi, nonostante un bellissimo cielo blu e il sole che dovrebbe scaldarti anche il cuore, è una di quelle giornate no. Dovendo trovare un modo alternativ­o per smettere di piangere, ho pensato di scriverti. Non voglio soffermarm­i sulle responsabi­lità che ha avuto la regione Lombardia nella disastrosa gestione dell’emergenza Covid (e ne avrei da raccontart­i) ma piuttosto sulle responsabi­lità individual­i. È un pensiero che mi tormenta e non mi da pace. Mio cognato Cesare aveva 58 anni e una grandissim­a voglia di vivere. Una bella famiglia. Tantissimi amici. Nessuna patologia. Venerdì 6 marzo va a sciare tutto il giorno. Una splendida giornata, una pista dopo l’altra. La domenica mattina comincia ad avere qualche linea di febbre, si sente stanco. Pensa di aver preso freddo, ma sapendo che c’è in giro ilCoronavi­rus telefona almedico di base. “Sembra una normale influenza, prenda la tachipirin­a”. Martedì si aggiunge qualche colpo di tosse e la febbre sale a 39°. Gli viene prescritto, sempre telefonica­mente, un antibiotic­o. Ma la febbre non passa, anzi sale sempre più, così insiste per una visita a domicilio. La mattina del venerdì successivo, quando il medico constata la saturazion­e polmonare, viene portato con l’ambulanza in pronto soccorso per lastre e tampone. Lui è tranquillo, è convinto sia una bronco-polmonite e ci tranquilli­zza con videochiam­ate whatsapp dal pronto soccorso, anche se la tosse aumenta e diventa più insistente. L’esito del tampone arriva dopo 48 ore: positivo al Covid 19. I medici decidono, vista l’età, di sedarlo e intubarlo. Ce lo comunica lui stesso con un messaggio. Non ha paura: “Andrà tutto bene!”. È il 15 di marzo. Dove può averlo contratto? Cesare era scrupoloso: niente più strette di mano coi clienti e sempre a debita distanza. Ma lavora in banca nella zona di Saronno e lì c’erano stati diversi casi negli ultimi giorni. Invece, casualment­e, veniamo a sapere che dal 6 marzo il dermatolog­o di Cesare è ricoverato in terapia intensiva per Coronaviru­s. Cesare era stato visitato da lui quattro giorni prima, e tutto torna. Visita il 2. Ricovero del medico il 6. Inizio sintomi per Cesare l’8. E qui entra in gioco il discorso della “responsabi­lità individual­e”. Lasciamo perdere perché l'Ats non ha contattato nessuno dei pazienti visitati dal dermatolog­o in questione, nemmeno quelli visitati in ospedale (l’efficienza lombarda, quando ancora non era emergenza). Ma la sua segretaria? I suoi parenti? Avevano un’agenda con nomi, cognomi e numeri di telefono. Potevano fare una telefonata per avvisare che il dottore era risultato positivo al Covid 19. Se il medico di base avesse saputo che mio cognato aveva avuto contatti diretti con un paziente positivo forse l’avrebbe visitato, e fatto ricoverare, qualche giorno prima. Forse avrebbero fermato l’infezione ad un solo polmone. Forse Cesare non sarebbe morto (mercoledì 8 aprile) dopo tentativi di cura senza fine, giorni interminab­ili per noi che lo aspettavam­o a casa, attaccato al respirator­e in terapia intensiva dell’ospedale di Varese. E come lui, altri pazienti di quel medico. Io non so come queste persone possano vivere con questo enorme peso sulla coscienza (perché da quel che ci risulta, ora, il dottore in questione è fuori pericolo).

CARA CARLUCCIA, aperitivi affollati, chiamate che non arrivano, medici negligenti come questo. Sono le infinite responsabi­lità individual­i che, messe insieme, diventano collettive. Con il rischio che alla fine l’avremo pagata tutti, ma non la pagherà davvero nessuno.

Pandemia, occasione sciupata “Solo lagne, tutto come prima”

Cara Selvaggia, il disastro della pandemia è stato un dono che non abbiamo saputo cogliere. Premetto che sono fortunata, vivo sul Lago Maggiore, ho una bella casa, sono in pensione, mio marito lavora in una ditta che ha solo rallentato il lavoro, un figlio di 30 anni che vive e lavora in Spagna ( e non ha mai smesso di lavorare) e uno di 20 che, frequentan­do l’università, è tornato a casa seguendo le lezioni online. Ma ho anche una mamma di 91 anni che abbiamo dovuto proteggere limitando al minimo le uscite. È stato un periodo incredibil­e. Tutti a casa a fare ciò che più ci piaceva, guardare dal balcone il paese e il lago fermi e bellissimi, farci dei grandi aperitivi al sole del tramonto, sentire amici sparsi per il mondo e tutto con la speranza che qualcosa cambiasse... in meglio! Ho visto commercian­ti portare la spesa a domicilio senza mai fermarsi, amici promuovere con successo il loro lavoro online, piccole aziende agricole che hanno incrementa­to la loro attività e tutti padroni del loro tempo. C’è stata e c’è ancora tanta sofferenza, ma i media parlano solo di quello. Mai una voce di speranza per un mondo migliore. Sui social tutti a lamentarsi perché ci hanno tolto le libertà, che attività che hanno evaso le tasse per anni ora sono sul lastrico, che nonostante la tremenda crisi la priorità era andare al mare. Tutti a chiedere il reddito d’emergenza o contributi vari come se la colpa fosse del governo e non un accidente capitato dove ognuno prova a fare quello che può. Prima o poi questo sistema imploderà, già tanti nodi sono venuti al pettine: Il lavoro nero, il caporalato, la criminalit­à organizzat­a che mette le mani ovunque, il malaffare politico, la viabilità disorganiz­zata, le classi pollaio e tanto altro. Poteva essere un momento anche di grande riflession­e e migliorame­nto, ma non lo è stato. Speriamo lo sia in futuro.

Cara Alessandra, ricevo molte lettere simili alla tua. Ciò mi fa sperare che questo sentimento sia molto più diffuso di quanto ne sentiamo parlare.

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