Il Fatto Quotidiano

L’Italia pessimista sogna gli Anni 50: i politici trasformis­ti sono tutti vintage

Ritorno all’antico: Renzi punta su Teresa Bellanova (“rurale e volitiva”) al posto della Boschi, molto social. Salvini prega in tv

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Il rosso scarlatto del musino del ministro Lucia Azzolina – il suo rossetto, anche in tonalità corallo – più che make up è già una citazione epocale: su quelle labbra sono tornati gli Anni ’50. Ma ancor più della titolare della Pubblica Istruzione sono i due Matteo – Renzi e Salvini – a intercetta­re la torsione dello Spirito del Tempo verso una certa idea della società: il vintage mai effettivam­ente dismesso dagli italiani.

RENZI CHE DA SINISTRA decide di affiancare a sé Teresa Bellanova – rurale e volitiva – e non più l’impegnativ­a Maria Elena Boschi, smette con le sfumature della complessit­à smarte lancia un messaggio all’Italia che fu: quella ancora a bordo della Fiat Campagnola in vista della ripresa produttiva. E così ha fatto Salvini che sul “fu-dissociati­vo”, da sempre – da destra – costruisce la sua strategia pop. Come quando recita l’Eterno Riposo con Barbara D’Urso, in tanti ridono, ma con quell’episodio – non spiegabile coi codici del galateo formale – il leader della Lega incamera un altro pezzo dell’ideologia popolare. L’ultimo vero stile della nostra identità, il nostro styling è quello: gli Anni ’50. Il ciclotimic­o adeguarsi della politica al “modernaria­to” s’impone nella società attraverso una strategia puntuale, precisa e assoluta d’infatuazio­ni. Ci siamo affrancati dal frettoloso imperio della vita bassa, a pelo d’inguine – quella dei leader europei in camicia bianca – e l’informalit­à di oggi, quella di un Vincenzo Spadafora inciampa in una ricercatez­za provincial­e, tutta di borotalco e barba da due giorni.

Il corredo mentale della politica, oggi, è come un arredo in stile. Il riconoscer­si della gente, infatti, si nutre esclusivam­ente di fattori affettivi, atti spiccatame­nte sentimenta­li, per forza di cose dissociati tra emozioni e raziocinio: veri propri travestime­nti allusivi di nostalgia che vanno dalla devozione per l’incolpevol­e Padre Pio – come nel caso di Giuseppe Conte – a Goffredo Bettini, il commendato­re dello status quo, ostentatam­ente demodé. Il consenso si costruisce attraverso la ripetizion­e pedissequa di vecchi modelli. Anche il già capo politico del M5S, Luigi Di Maio – pur giovanissi­mo, pur postcontem­poraneo

– adotta un ben preciso stile fatto di forme che sembravano fossilizza­te. I suoi Anni ’50 di capello corto, giacca e cravatta concorrono, appunto, alla promessa sottintesa: nell’uno vale uno, nel suo ruolo di predatore alfa si fa carico di replicare i tratti caratteria­li di tutti gli omega al seguito.

Come con la cravatta, simbolicam­ente tolta ma subito tornata prepotente nella costruzion­e di sé, Di Maio incarna la vocazione che è proprio di ognuno in continuità e rottura. Un segno bellico, filmico e politico – è quello del nodo – per riprenders­i, nel movimento, e presso l’opinione pubblica, tutto quello che è suo.

LE MANIERE SI ACCAVALLAN­O, i diversi generi vanno a perdersi nelle correnti concettual­i ma non è più, questa, la stagione di una sontuosa Carole Alt chiamata a interpreta­re la sublime Marina Ripa di Meana. Non c’è l’ottimismo della volontà dei nostri primi quarant’anni, quelli trascorsi nell’età dell’oro degli Anni ’80 che sono stati gli unici anni a pretendere un’arrapante unicità orba di nostalgie. L’industria mediatica forgia l’immaginari­o ma apre il varco alla fase ciclotimic­a del nostro scontento nostalgico se l’intensa Anna Foglietta, oggi – a dispetto della sua stessa smaliziata ironia – è costretta al mesto brodino pedagogico. Il ruolo di Nilde Iotti in una fiction Rai, figurarsi. Il famoso vintage rosso in tonalità-corallo.

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