“Aspi, le tariffe usate per gli utili: concessione via”
La città di Genova e la sua società civile contro Autostrade per l’Ita lia. Cinque associazioni rappresentative di interessi diffusi hanno presentato un esposto in Procura argomentando per 22 pagine con allegati le loro ragioni. Cittadini e categorie professionali colpite dal crollo del ponte Morandi chiedono ai pm di valutare eventuali profili penali. Nelmirino c’è il comportamento del concessionario – cioè Aspi facente capo alla famiglia Benetton – anche se non è una denuncia specifica contro qualcuno per un determinato reato. A presentare l’esposto sono stati cinque avvocati: Raffaele Caruso, Andrea Ganzer, Andrea Mortara e i professori Ruggiero Cafari Panico e Andrea Pericu, a nome del Comitato Zona Arancione Ponte Morandi; della Cna di Genova e della Liguria; dell’Unione Sindacati Agenti e Rappresentanti di Commercio Italiani, Usarci- Sparci; di Trasporto Unito e infine di Assiterminal.
La tesi di fondo è che il crollo del ponte Morandi abbia avuto “riflessi impressionanti sulle attività economiche e sulla vita quotidiana di moltissime persone, in città, nella regione”. Nell’esposto si descrive “l’infarto delle infrastrutture al servizio della città di Genova con riflessi diretti su tutta la Liguria”. I cittadini e le imprese nell’esposto lamentano di aver subito “le conseguenze di tale interruzione di servizio pubblico” e lamentano “un calo di fatturato” e “un aumento dei costi”. Le associazioni dei cittadini che abitano nella zona arancione, degli agenti di commercio, dei terminalisti, degli artigiani e degli autotrasportatori però non si fermano qui. Chiedono alla Procura di andare alla radice del problema verificando “l’ipotesi che il crollo del ponte non sia stato un tragico e imprevedibile evento inseritosi per malasorte su di un terreno di conduzione virtuosa, ma l’ordinaria, prevedibile e accettata conseguenza di una gestione viziosa del servizio autostradale che si è palesata con effetti disastrosi nell’infrastruttura più fragile: il Ponte Morandi”. Le domande poste dall’esposto presuppongono concetti noti ai lettori del Fatto e del libro del nostro autore Giorgio Ragazzi ( La svendita
di Autostrade, 122 pagine, marzo 2020, Paper First): “A monte di questa tragedia e dei successivi disservizi qualcuno ci ha guadagnato? Dietro i problemi di degrado e mancata implementazione dell’i n f rastruttura, così diffusi e allarmanti, è possibile che vi fosse un disegno sistematico con obiettivi finanziari? Fino a che livello si estendono le responsabilità in seno al gruppo che controlla la società Autostrade per l’Italia? Come è stato possibile che le autorità deputate al controllo abbiano permesso tutto questo?”.
Si parte dai principi del diritto comunitario ( l’ar ticolo 106 del Tfeu, la sentenza Altmark della Corte di Giustizia europea del 24 luglio 2003 e la decisione della Commissione 2435/2018/Ue sulla tariffa “socialmente sostenibile”) per postulare “i ricavi riconosciuti al concessionario non devono andare oltre quanto necessario per la restituzione dei costi sostenuti, maggiorati di un utile ragionevole”. Principio che potrebbe essere saltato: “quel che si ipotizza nel caso di Aspi (...) è che gli investimenti già previsti nel nodo di Genova ( la c. d. Gronda o Bretella Voltri-Rivarolo), per 1,8 miliardi di euro, non siano stati effettuati ma, la tariffa, che presupponeva ex
ante tali investimenti (art. 18 ConvenzioneUnica), sia rimasta invariata”. Il punto è la destinazione dei soldi non spesi: “La tariffa anziché essere utilizzata per lavori sulle opere potrebbe essere stata utilizzata, almeno in parte, per rimborsare altre poste economiche, comunque non legate all’erogazione del servizio, bensì a beneficio degli azionisti di controllo”. Il peccato originale sarebbe accaduto: “Successivamente al 2002 dopo l'approvazione del IV atto aggiuntivo con lo ‘spostamento’ di una serie di opere in un nuova componente tariffaria”. Da allora “sarebbe entrata nel patrimonio di Autostrade, tramite la tariffa base forfettaria una somma oltremodo significativa”. Secondo l’esposto “l’effettiva quota destinata ai lavori di manutenzione e implementazione sarebbe stata sempre fortemente limitata, con l’esito dei gravi disservizi” fino ad arrivare all’ammaloramento del ponte con il crollo del 2018. Nell’esposto si citano alcuni reati come l’interruzione di servizio pubblico e la messa in pericolo della sicurezza dei trasporti “che potrebbe trovare un collegamento anche con lo stesso crollo del Ponte Morandi (art. 432, comma 3 c.p.)”. La tesi contenuta nell'esposto è stata più volte contestata da Autostrade. Fonti di Aspi spiegano: “I lavori della Gronda non sono iniziati per ragioni non imputabili alla società e le manutenzioni non pesano sulla tariffa. Inoltre sono state effettuate con ritmi superiori a quelli precedenti alla cessione al privato nel 1997, e comunque non inferiori a quelli degli altri concessionari europei. Nel 2019, dopo il crollo del ponte, con la nuova gestione di Roberto Tomasi, le manutenzioni sono aumentate del 40 per cento”. Ora saranno i pm di Genova a valutare la fondatezza delle tesi dell’esposto.