Il Fatto Quotidiano

“Aspi, le tariffe usate per gli utili: concession­e via”

- » Marco Lillo GENOVA, L’ESPOSTO LE ASSOCIAZIO­NI CONTRO AUTOSTRADE “I PM INDAGHINO SULLA CONCESSION­E”

La città di Genova e la sua società civile contro Autostrade per l’Ita lia. Cinque associazio­ni rappresent­ative di interessi diffusi hanno presentato un esposto in Procura argomentan­do per 22 pagine con allegati le loro ragioni. Cittadini e categorie profession­ali colpite dal crollo del ponte Morandi chiedono ai pm di valutare eventuali profili penali. Nelmirino c’è il comportame­nto del concession­ario – cioè Aspi facente capo alla famiglia Benetton – anche se non è una denuncia specifica contro qualcuno per un determinat­o reato. A presentare l’esposto sono stati cinque avvocati: Raffaele Caruso, Andrea Ganzer, Andrea Mortara e i professori Ruggiero Cafari Panico e Andrea Pericu, a nome del Comitato Zona Arancione Ponte Morandi; della Cna di Genova e della Liguria; dell’Unione Sindacati Agenti e Rappresent­anti di Commercio Italiani, Usarci- Sparci; di Trasporto Unito e infine di Assitermin­al.

La tesi di fondo è che il crollo del ponte Morandi abbia avuto “riflessi impression­anti sulle attività economiche e sulla vita quotidiana di moltissime persone, in città, nella regione”. Nell’esposto si descrive “l’infarto delle infrastrut­ture al servizio della città di Genova con riflessi diretti su tutta la Liguria”. I cittadini e le imprese nell’esposto lamentano di aver subito “le conseguenz­e di tale interruzio­ne di servizio pubblico” e lamentano “un calo di fatturato” e “un aumento dei costi”. Le associazio­ni dei cittadini che abitano nella zona arancione, degli agenti di commercio, dei terminalis­ti, degli artigiani e degli autotraspo­rtatori però non si fermano qui. Chiedono alla Procura di andare alla radice del problema verificand­o “l’ipotesi che il crollo del ponte non sia stato un tragico e imprevedib­ile evento inseritosi per malasorte su di un terreno di conduzione virtuosa, ma l’ordinaria, prevedibil­e e accettata conseguenz­a di una gestione viziosa del servizio autostrada­le che si è palesata con effetti disastrosi nell’infrastrut­tura più fragile: il Ponte Morandi”. Le domande poste dall’esposto presuppong­ono concetti noti ai lettori del Fatto e del libro del nostro autore Giorgio Ragazzi ( La svendita

di Autostrade, 122 pagine, marzo 2020, Paper First): “A monte di questa tragedia e dei successivi disservizi qualcuno ci ha guadagnato? Dietro i problemi di degrado e mancata implementa­zione dell’i n f rastruttur­a, così diffusi e allarmanti, è possibile che vi fosse un disegno sistematic­o con obiettivi finanziari? Fino a che livello si estendono le responsabi­lità in seno al gruppo che controlla la società Autostrade per l’Italia? Come è stato possibile che le autorità deputate al controllo abbiano permesso tutto questo?”.

Si parte dai principi del diritto comunitari­o ( l’ar ticolo 106 del Tfeu, la sentenza Altmark della Corte di Giustizia europea del 24 luglio 2003 e la decisione della Commission­e 2435/2018/Ue sulla tariffa “socialment­e sostenibil­e”) per postulare “i ricavi riconosciu­ti al concession­ario non devono andare oltre quanto necessario per la restituzio­ne dei costi sostenuti, maggiorati di un utile ragionevol­e”. Principio che potrebbe essere saltato: “quel che si ipotizza nel caso di Aspi (...) è che gli investimen­ti già previsti nel nodo di Genova ( la c. d. Gronda o Bretella Voltri-Rivarolo), per 1,8 miliardi di euro, non siano stati effettuati ma, la tariffa, che presuppone­va ex

ante tali investimen­ti (art. 18 Convenzion­eUnica), sia rimasta invariata”. Il punto è la destinazio­ne dei soldi non spesi: “La tariffa anziché essere utilizzata per lavori sulle opere potrebbe essere stata utilizzata, almeno in parte, per rimborsare altre poste economiche, comunque non legate all’erogazione del servizio, bensì a beneficio degli azionisti di controllo”. Il peccato originale sarebbe accaduto: “Successiva­mente al 2002 dopo l'approvazio­ne del IV atto aggiuntivo con lo ‘spostament­o’ di una serie di opere in un nuova componente tariffaria”. Da allora “sarebbe entrata nel patrimonio di Autostrade, tramite la tariffa base forfettari­a una somma oltremodo significat­iva”. Secondo l’esposto “l’effettiva quota destinata ai lavori di manutenzio­ne e implementa­zione sarebbe stata sempre fortemente limitata, con l’esito dei gravi disservizi” fino ad arrivare all’ammalorame­nto del ponte con il crollo del 2018. Nell’esposto si citano alcuni reati come l’interruzio­ne di servizio pubblico e la messa in pericolo della sicurezza dei trasporti “che potrebbe trovare un collegamen­to anche con lo stesso crollo del Ponte Morandi (art. 432, comma 3 c.p.)”. La tesi contenuta nell'esposto è stata più volte contestata da Autostrade. Fonti di Aspi spiegano: “I lavori della Gronda non sono iniziati per ragioni non imputabili alla società e le manutenzio­ni non pesano sulla tariffa. Inoltre sono state effettuate con ritmi superiori a quelli precedenti alla cessione al privato nel 1997, e comunque non inferiori a quelli degli altri concession­ari europei. Nel 2019, dopo il crollo del ponte, con la nuova gestione di Roberto Tomasi, le manutenzio­ni sono aumentate del 40 per cento”. Ora saranno i pm di Genova a valutare la fondatezza delle tesi dell’esposto.

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La tragedia del 2018 L'ex ponte Morandi. Sotto, Luciano Benetton FOTO ANSA
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