Conte e i sindaci, guerra e pace Scuole al via così
Quando prende la parola, la sindaca di Roma Virginia Raggi spiega a Giuseppe Conte che quello appena illustrato dal presidente dell’Anci Antonio Decaro non è il solito
cahier de doléances degli amministratori locali. È lì che, dall’altro capo della call, Luigi Brugnaro non riesce più a trattenere l’insofferenza: “Basta col latino!”, sbotta, per ricordare a tutti che sono lì riuniti per parlare di schei, mica a fare sfoggio di francesismi (o latinismi, direbbe lui). Meno male che c’è il sindaco di Venezia: perché quelle due ore – a parte un paio di battute sulla triste epopea degli “assistenti civici” e lo svarione dell’imprenditore prestato alla laguna – tutto sono state tranne che una chiacchierata tra amici.
Si danno del tu, i sindaci e il presidente del Consiglio. Ma non è la confidenza che impedisce di arrivare alle minacce. “Sono stati fatti errori politici, ci avete trattato male anche umanamente – è lo sfogo del milanese Beppe Sala – O arrivano i soldi o metteremo in campo delle iniziative forti”. È qui, quando capisce che si evoca la piazza, che Giuseppe Conte cambia tono. Perché un conto è sentirselo dire da Luigi de Magistris, che ha preso Napoli al grido di “amm’scassat’” e adesso ripete: “Le persone vengono a bussare ai nostri portoni per avere risposte: noi ci mettiamo la faccia e voi non ci date un euro?”; un conto se a parlarne è il moderato Sala. Che chiarisce subito a Conte cosa c’è sul piatto di questa assemblea, convocata dal premier – va detto – subito dopo aver ricevuto la lettera dei 13 sindaci delle città metropolitane, in allarme per i bilanci da chiudere entro luglio: “Chi la consiglia non l’ha preparata a questa riunione”, dice il primo cittadino di Milano, imbufalito dalla litania del “tavolo tecnico” da convocare al più presto al ministero dell’Economia. Tanto più, che mentre loro ne parlavano, il viceministro (al Mef ) Antonio Misiani abbandonava la videoconferenza, scatenando l’ira dei presenti. “Doveva andare in Senato a votare la fiducia”, è toccato a Conte giustificarlo.
IL PUNTO È
che i sindaci non vogliono essere trattati “come un dossier qualunque”, né hanno più voglia di sentire il ritornello su quanto sono stati bravi a gestire il loc
kdown. “Se non arrivano fondi dovrò dire che sono in dissesto – annuncia Chiara Appendino – Così non ci state mettendo in condizione di svolgere il nostro lavoro”. La Raggi è ancora più dritta: “Servono altri tre miliardi: dove non arriviamo noi, arriva la criminalità. Che per sua natura arriva prima”. Idem Dario Nardella da Firenze: “In una intervista ho detto che sono infuriato, forse non è la parola giusta: sono disperato”.
Così il premier ha capito di doversi impegnare personalmente: “Vi do la mia parola, non permetterò che i Comuni vadano in dissesto”. La parola prevede che si aggiungano altri tre miliardi di euro a quelli già previsti dal dl Rilancio, oltre alla copertura dei mancati introiti di questi mesi. “Ora ci aspettiamo i fatti - chiosa il sindaco di Bari Antonio De Caro - Al più presto il ministero delle Finanze individui norme e risorse per metterci a disposizione i tre miliardi indispensabili a far fronte ai servizi essenziali per i cittadini”.
ALLA RAGGI: “BASTA COMPLIMENTI E PROMESSE”