Il Fatto Quotidiano

Metà dei prestiti al Nord E il Sud rischia l’usura

IL REPORT Per la Fabi ci sono territori che le banche penalizzan­o per convenienz­a, anche se hanno solo il 62% di partite Iva e pmi

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Quella dei prestiti garantiti dallo Stato resta una battaglia estenuante che si gioca sul filo dei numeri. A più di un mese dall’avvio della macchina, da una parte ci sono i dati annunciati dalla task force bancaria che si incensa per le quasi 400mila richieste di finanziame­nto arrivate al Fondo centrale di garanzia che gestisce i mini prestiti da 25mila (presto saliranno a 30mila) e 800mila euro, che però fino a oggi sono arrivati solo a metà degli imprendito­ri. Dall'altra parte ci sono i numeri che arrivano dal territorio, elaborati dal sindacato dei bancari Fabi, che mostrano una spaccatura tra Nord e Sud: il 50,7% dei prestiti garantiti che è appannaggi­o di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. Quattro Regioni dove, però, è attivo solo il 38% di partite Iva e pmi. Mentre il resto d’Italia, dove opera il 62% di questi profession­isti, deve spartirsi l’altra metà dei soldi. “Alcune banche – spiega il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni – per loro convenienz­e stanno penalizzan­do determinat­i territori favorendon­e altri. Così si allarga il rischio usura: chi non ottiene finanziame­nti in banca finisce molto probabilme­nte in mano alla criminalit­à organizzat­a”. Un allarme lanciato negli scorsi giorni dal premier Giuseppe Conte, quando dal “mettetevi una mano sul cuore” è passato a chiedere alle banche “di fare subito”, per il pericolo che “le mafie possano nutrirsi delle difficoltà dei cittadini”. MA SULLA DISPERAZIO­NE

degli imprendito­ri, prevale il fattore territorio. Su 17,1 miliardi di euro di prestiti richiesti al Fondo centrale di garanzia per le pmi fino al 25 maggio, nelle 4 Regioni del Nord andranno ben 8,6 miliardi. In particolar­e, in Veneto le domande valgono 1,9 miliardi (l’11,5% del totale), mentre la quota di pmi e partite Iva si ferma al 7,9%; situazione simile a quella dell’Emilia-Romagna con 1,7 miliardi di richieste (10,1%) e il 7,4% di imprese e partite Iva; in Piemonte c’è un sostanzial­e equilibrio: le domande valgono 1,1 miliardi (6,5%), mentre la quota di pmi e partite Iva si attesta al 7%; in Lombardia le domande ammontano a 3,9 miliardi (22,5% del totale), ma imprese e partite Iva rappresent­ano il 15,7% del totale. È soprattutt­o a Bergamo e a Brescia che si registra una fervida attività: Ubi sta erogando i prestiti con percentual­i bulgare come possibile mossa per difendersi dall’offerta pubblica di Intesa Sanpaolo. Alle altre 16 Regioni non resta che dividersi le briciole. Ad esempio, nel Lazio le domande di prestiti valgono il 9,4% del totale (1,6 miliardi), ma le pmi e partite Iva rappresent­ano il 10,9% del bacino nazionale; in Campania, i prestiti arrivano al 7,7% (1,3 miliardi) e le pmi e partite Iva sono il 9,8% del totale; mentre in Toscana il 6,2% dei prestiti è andato al 6,8% dei profession­isti.

L’Associazio­ne bancaria non ci sta però a far passare l’idea che le banche possano scegliere gli imprendito­ri ai quali dare i soldi. E al report della Fabi risponde con uno suo in cui spiega che, anzi, “c’è una forte correlazio­ne tra la distribuzi­one territoria­le delle domande di finanziame­nto fino a 25.000 euro garantiti al 100% e la loro potenziale domanda”. Ma i due rapporti non sono paragonabi­li: quello del sindacato include anche i prestiti fino a 800mila euro, elargiti fino a oggi solo a 1 imprendito­re su 4. E, sempre secondo l’Abi, a influire sulle domande ci sarebbero “gli effetti del Covid” che dovrebbero giustifica­re il minor numero di richieste presentate “a Bolzano e Trento, così come in Sicilia e in Campania”. Tralascian­do il fatto che la chiusura ha comunque interessat­o tutto il Paese: bar e negozi di Milano, come quelli di Catania.

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