La pm ha già “assolto” Fontana, ma la legge smentisce tutti e due
“CHIUDERE ALZANO ERA COMPITO DEL GOVERNO”. MA ALTRE REGIONI HANNO FATTO LE ZONE ROSSE
Poche ore, anzi pochi minuti e due telefonate. Tanto è bastato al governo per tornare sui propri passi e decidere, dopo averla disposta, di non istituire più la zona rossa attorno ai comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro. Nessun documento scritto, solo ordini a voce. Il particolare inedito emerge, a quanto risulta al Fat
to, dalla testimonianza di chi in quei primi giorni di marzo aveva il compito di approntare i
check point nelle aree della zona rossa. L’interlocutore ai vertici di comando è il ministero dell’Interno. Questo avvenne per testimonianza diretta. L’inchiesta della procura di Bergamo è senza indagati, epidemia colposa l’accusa. Ieri il presidente della Regione Lombardia è stato interrogato dai pm come testimone. Sul tema zona rossa ha spiegato che la decisione spettava al governo. Ipotesi rilanciata dal procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota ai microfoni dei tg: “La zona rossa, per quel che ci risulta, era decisione del governo”.
AL TERMINE
del verbale, Attilio Fontana è uscito scortato dalla polizia. Ad attenderlo un gruppo di manifestanti che dietro a uno striscione con un esplicito insulto, lo ha additato come uno dei colpevoli della diffusione del contagio. Il colloquio con i magistrati è stato molto cordiale. Fontana ha spiegato i due punti critici dell’inchiesta: la zona rossa e la non chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo la sera del 23 febbraio quando si ebbe la certezza dei primi due pazienti Covid. Il 20 a Codogno era emerso il paziente 1. Da lì a poche ore il governo avrebbe chiuso dieci comuni del Basso lodigiano. Per quanto riguarda la struttura sanitaria, il governatore ha assicurato di aver seguito i protocolli. Due giorni fa l’assessore al Welfare Giulio Gallera interrogato ha spiegato che la scelta di mantenere attivo il presidio fu presa dopo l’assicurazione dell’avvenuta sanificazione. Particolare incerto. Diverse testimonianze di chi, medici e infermieri, era presente in ospedale smentiscono che fu effettuata una sanificazione adeguata al rischio Covid. Oltre a questo non furono disposti triage ad hoc per separare i pazienti infetti. Sulla zona rossa, lo stesso Fontana ha spiegato che attendeva la decisione del governo nonostante la legge consenta alle regioni di chiudere i territori per motivi di salute pubblica in modo autonomo. In questo quadro investigativo rientrano le due telefonate del Viminale. Una responsabilità ipotizzata dalla stessa magistratura. Tanto che ieri nei corridoi della Procura non si escludeva la possibilità di interrogare anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Di certo il 28 febbraio un tale scenario non era preso in considerazione dalla Regione. Solo il precipitare della situazione ha imposto una riflessione. Il 4 marzo militari e forze dell’ordine sono stati inviati sul posto e alloggiati in alberghi della zona. In quel momento il piano è di procedere. La fonte interpellata dal Fat to assicura che in quelle ore erano già stati predisposti i check point. Circa cento in tutta la zona. “Con l’ordine di partire – ci viene spiegato – saremmo andati a regime in pochissime ore, ma così non è stato”. E il perché sta in una seconda telefonata di stop arrivata tra sabato 7 e domenica 8 marzo sempre dal Viminale e sempre senza atti formali. Da lì a poche ore il Dpcm avrebbe istituito la zona rossa in tutti i comuni della Lombardia. Insomma, chiarire il quadro delle responsabilità non è semplice. Ieri doveva essere sentito anche il presidente di Confindustria LombardiaMarco Bonometti. Al centro del suo interrogatorio una intervista nella quale ha sostenuto l’accordo comune con la Regione per non chiudere le fabbriche. Bonometti non si è presentato per motivi di salute e sarà ascoltato nei prossimi giorni.
CHIUSURE FONTANA INTERROGATO PER 2 ORE IN PROCURA