Il Fatto Quotidiano

La pm ha già “assolto” Fontana, ma la legge smentisce tutti e due

“CHIUDERE ALZANO ERA COMPITO DEL GOVERNO”. MA ALTRE REGIONI HANNO FATTO LE ZONE ROSSE

- Davide Milosa

Poche ore, anzi pochi minuti e due telefonate. Tanto è bastato al governo per tornare sui propri passi e decidere, dopo averla disposta, di non istituire più la zona rossa attorno ai comuni bergamasch­i di Alzano Lombardo e Nembro. Nessun documento scritto, solo ordini a voce. Il particolar­e inedito emerge, a quanto risulta al Fat

to, dalla testimonia­nza di chi in quei primi giorni di marzo aveva il compito di approntare i

check point nelle aree della zona rossa. L’interlocut­ore ai vertici di comando è il ministero dell’Interno. Questo avvenne per testimonia­nza diretta. L’inchiesta della procura di Bergamo è senza indagati, epidemia colposa l’accusa. Ieri il presidente della Regione Lombardia è stato interrogat­o dai pm come testimone. Sul tema zona rossa ha spiegato che la decisione spettava al governo. Ipotesi rilanciata dal procurator­e di Bergamo Maria Cristina Rota ai microfoni dei tg: “La zona rossa, per quel che ci risulta, era decisione del governo”.

AL TERMINE

del verbale, Attilio Fontana è uscito scortato dalla polizia. Ad attenderlo un gruppo di manifestan­ti che dietro a uno striscione con un esplicito insulto, lo ha additato come uno dei colpevoli della diffusione del contagio. Il colloquio con i magistrati è stato molto cordiale. Fontana ha spiegato i due punti critici dell’inchiesta: la zona rossa e la non chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo la sera del 23 febbraio quando si ebbe la certezza dei primi due pazienti Covid. Il 20 a Codogno era emerso il paziente 1. Da lì a poche ore il governo avrebbe chiuso dieci comuni del Basso lodigiano. Per quanto riguarda la struttura sanitaria, il governator­e ha assicurato di aver seguito i protocolli. Due giorni fa l’assessore al Welfare Giulio Gallera interrogat­o ha spiegato che la scelta di mantenere attivo il presidio fu presa dopo l’assicurazi­one dell’avvenuta sanificazi­one. Particolar­e incerto. Diverse testimonia­nze di chi, medici e infermieri, era presente in ospedale smentiscon­o che fu effettuata una sanificazi­one adeguata al rischio Covid. Oltre a questo non furono disposti triage ad hoc per separare i pazienti infetti. Sulla zona rossa, lo stesso Fontana ha spiegato che attendeva la decisione del governo nonostante la legge consenta alle regioni di chiudere i territori per motivi di salute pubblica in modo autonomo. In questo quadro investigat­ivo rientrano le due telefonate del Viminale. Una responsabi­lità ipotizzata dalla stessa magistratu­ra. Tanto che ieri nei corridoi della Procura non si escludeva la possibilit­à di interrogar­e anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Di certo il 28 febbraio un tale scenario non era preso in consideraz­ione dalla Regione. Solo il precipitar­e della situazione ha imposto una riflession­e. Il 4 marzo militari e forze dell’ordine sono stati inviati sul posto e alloggiati in alberghi della zona. In quel momento il piano è di procedere. La fonte interpella­ta dal Fat to assicura che in quelle ore erano già stati predispost­i i check point. Circa cento in tutta la zona. “Con l’ordine di partire – ci viene spiegato – saremmo andati a regime in pochissime ore, ma così non è stato”. E il perché sta in una seconda telefonata di stop arrivata tra sabato 7 e domenica 8 marzo sempre dal Viminale e sempre senza atti formali. Da lì a poche ore il Dpcm avrebbe istituito la zona rossa in tutti i comuni della Lombardia. Insomma, chiarire il quadro delle responsabi­lità non è semplice. Ieri doveva essere sentito anche il presidente di Confindust­ria LombardiaM­arco Bonometti. Al centro del suo interrogat­orio una intervista nella quale ha sostenuto l’accordo comune con la Regione per non chiudere le fabbriche. Bonometti non si è presentato per motivi di salute e sarà ascoltato nei prossimi giorni.

CHIUSURE FONTANA INTERROGAT­O PER 2 ORE IN PROCURA

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