Il Fatto Quotidiano

Il sogno proibito di una nuova Rai senza padrini

- GIOVANNI VALENTINI

Obbligata dalla pandemia a rivalutare il suo ruolo istituzion­ale di servizio pubblico, oggi la Rai sovranista si ritrova paradossal­mente nel pieno di una crisi di strategia e di gestione, come una crisalide che non riesce mai a completare la metamorfos­i e a diventare farfalla. L’ultima tornata di nomine, condiziona­ta come sempre dalla lottizzazi­one politica, ha distribuit­o qualche poltrona e poltroncin­a senza incidere tuttavia sull’identità dell’azienda e sul suo rinnovamen­to. E adesso – in vista di un’eventuale uscita anticipata dell’amministra­tore delegato Fabrizio Salini, in procinto a quanto pare di emigrare a Netflix – si cerca un traghettat­ore o una traghettat­rice, per arrivare fra undici mesi alla scadenza del consiglio di amministra­zione e all’insediamen­to del nuovo.

In questa prospettiv­a, circolano già diversi nomi interni ed esterni. Ma, a parte il fatto che in una prospettiv­a del genere la logica suggerireb­be di affidarsi a un manager di casa e di provata esperienza che conosca già i meandri di viale Mazzini, sarebbe ora che il servizio pubblico radiotelev­isivo affrontass­e una transizion­e definitiva per passare dalla Rai dei partiti alla Rai dei cittadini. Una responsabi­lità che spetta alla politica, quella stessa politica che però non è riuscita ancora a rinnovare il consiglio dell’Autorità di garanzia sulle Comunicazi­oni, scaduto ormai da un anno e prorogato di volta in volta nonostante le sollecitaz­ioni del capo dello Stato.

HA FATTO BENE il presidente della Camera, Roberto Fico, già presidente della Commission­e parlamenta­re di Vigilanza, a richiamare recentemen­te l’urgenza di una nuova legge per riformare la Rai, in modo che diventi “libera, indipenden­te e meritocrat­ica”. Ma le proposte per la verità non mancano e bisogna innanzitut­to affrancare l’azienda dalla subalterni­tà alla politica e in particolar­e al governo, trasferend­o il “pacchetto” di controllo dal ministero dell’Economia a una Fondazione rappresent­ativa della società italiana. Se invochiamo a gran voce giornali senza padroni, dobbiamo reclamare anche una Rai senza padrini: a cominciare, naturalmen­te, dalle direzioni delle testate giornalist­iche.

Basta aprire i cassetti degli archivi parlamenta­ri, presidente Fico, per ritrovare i progetti di una riforma organica, metterla all’ordine del giorno e approvarla rapidament­e. L’Italia non cambierà, se non si cambierà la Rai. E dopo l’epidemia da coronaviru­s, il Paese non ripartirà senza una nuova coscienza civile; senza uno spirito di solidariet­à nazionale; senza un’opera pedagogica che il servizio pubblico può svolgere nell’era digitale come ai tempi dell’alfabetizz­azione di massa.

È proprio l’emergenza sanitaria ed economica che offre oggi un’opportunit­à per rifondare la Rai, rinnovando la sua mission e la sua funzione. Se in questa emergenza abbiamo ritenuto “strategica” l’Alitalia, non possiamo trascurare il valore democratic­o di una television­e pubblica, e anche di una radio che spesso è più pubblica della tv, continuand­o a considerar­le strumenti di regime per influenzar­e gli elettori e raccattare il consenso popolare. Al governo e alla maggioranz­a gialloross­a tocca perciò il compito di tagliare una volta per tutte il cordone ombelicale fra la politica e la Rai, per liberarla dal giogo della partitocra­zia. E così l’opposizion­e avrà modo di dimostrare magari che non è più suddita del partito-azienda.

“I miei sogni sono irrinuncia­bili, sono ostinati, testardi e resistenti” (Luis Sepúlveda) POLTRONE SOLO NOMINE SENZA INCIDERE SULL’IDENTITÀ DELL’AZIENDA E SUL FUTURO

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