Il sogno proibito di una nuova Rai senza padrini
Obbligata dalla pandemia a rivalutare il suo ruolo istituzionale di servizio pubblico, oggi la Rai sovranista si ritrova paradossalmente nel pieno di una crisi di strategia e di gestione, come una crisalide che non riesce mai a completare la metamorfosi e a diventare farfalla. L’ultima tornata di nomine, condizionata come sempre dalla lottizzazione politica, ha distribuito qualche poltrona e poltroncina senza incidere tuttavia sull’identità dell’azienda e sul suo rinnovamento. E adesso – in vista di un’eventuale uscita anticipata dell’amministratore delegato Fabrizio Salini, in procinto a quanto pare di emigrare a Netflix – si cerca un traghettatore o una traghettatrice, per arrivare fra undici mesi alla scadenza del consiglio di amministrazione e all’insediamento del nuovo.
In questa prospettiva, circolano già diversi nomi interni ed esterni. Ma, a parte il fatto che in una prospettiva del genere la logica suggerirebbe di affidarsi a un manager di casa e di provata esperienza che conosca già i meandri di viale Mazzini, sarebbe ora che il servizio pubblico radiotelevisivo affrontasse una transizione definitiva per passare dalla Rai dei partiti alla Rai dei cittadini. Una responsabilità che spetta alla politica, quella stessa politica che però non è riuscita ancora a rinnovare il consiglio dell’Autorità di garanzia sulle Comunicazioni, scaduto ormai da un anno e prorogato di volta in volta nonostante le sollecitazioni del capo dello Stato.
HA FATTO BENE il presidente della Camera, Roberto Fico, già presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, a richiamare recentemente l’urgenza di una nuova legge per riformare la Rai, in modo che diventi “libera, indipendente e meritocratica”. Ma le proposte per la verità non mancano e bisogna innanzitutto affrancare l’azienda dalla subalternità alla politica e in particolare al governo, trasferendo il “pacchetto” di controllo dal ministero dell’Economia a una Fondazione rappresentativa della società italiana. Se invochiamo a gran voce giornali senza padroni, dobbiamo reclamare anche una Rai senza padrini: a cominciare, naturalmente, dalle direzioni delle testate giornalistiche.
Basta aprire i cassetti degli archivi parlamentari, presidente Fico, per ritrovare i progetti di una riforma organica, metterla all’ordine del giorno e approvarla rapidamente. L’Italia non cambierà, se non si cambierà la Rai. E dopo l’epidemia da coronavirus, il Paese non ripartirà senza una nuova coscienza civile; senza uno spirito di solidarietà nazionale; senza un’opera pedagogica che il servizio pubblico può svolgere nell’era digitale come ai tempi dell’alfabetizzazione di massa.
È proprio l’emergenza sanitaria ed economica che offre oggi un’opportunità per rifondare la Rai, rinnovando la sua mission e la sua funzione. Se in questa emergenza abbiamo ritenuto “strategica” l’Alitalia, non possiamo trascurare il valore democratico di una televisione pubblica, e anche di una radio che spesso è più pubblica della tv, continuando a considerarle strumenti di regime per influenzare gli elettori e raccattare il consenso popolare. Al governo e alla maggioranza giallorossa tocca perciò il compito di tagliare una volta per tutte il cordone ombelicale fra la politica e la Rai, per liberarla dal giogo della partitocrazia. E così l’opposizione avrà modo di dimostrare magari che non è più suddita del partito-azienda.
“I miei sogni sono irrinunciabili, sono ostinati, testardi e resistenti” (Luis Sepúlveda) POLTRONE SOLO NOMINE SENZA INCIDERE SULL’IDENTITÀ DELL’AZIENDA E SUL FUTURO