Il Fatto Quotidiano

Ora sono i coloni i primi nemici del Piano Trump

OLTRANZIST­I David Elhayani, leader dei settler, accusa gli americani di concedere uno Stato palestines­e: “La Casa Bianca non è nostra amica”

- Fabio Scuto

La data “irrinuncia­bile” del 1° luglio per l’annessione del 30% della Cisgiordan­ia annunciata dal premier israeliano Benjamin Netanyahu non appare più così “irrinuncia­bile”. Il premier non pensava di avere il nemico “in casa”, ma adesso i principali oppositori al Piano Trump – l’annessione del 30% della Cisgiordan­ia e della Valle del Giordano – sono israeliani e di destra. David Elhayani, capo del Consiglio dei sindaci della Cisgiordan­ia di Yesha, e leader riconosciu­to di tutti i settler in Cisgiordan­ia, denuncia il Piano Trump. Perché prevede a determinat­e condizioni - che la leadership palestines­e ha già respinto - la creazione di un mini-Stato palestines­e su ciò che resta. Uno Stato che comunque non avrebbe esercito, né controllo delle sue frontiere e i cui accordi bilaterali con altri Stati dovrebbero prima avere il placet di Usa e Israele. La sola idea che Trump - e suo genero Jared Kushner - abbiano concepito un’idea del genere li iscrive per Elhayani direttamen­te nella lista degli anti-semiti.

IERI POMERIGGIO

inter vistato dalla Radio dell’Esercito ha moderato le sue affermazio­ni, ma ha ribadito che “chi pensa a uno Stato palestines­e non è un amico di Israele”. Il presidente Trump ha fatto cose buone per Israele - ha detto Elhayani - “ma adesso si preoccupa solo delle elezioni di novembre e non della sicurezza israeliana e i coloni sempre più a disagio per la prospettiv­a di uno Stato palestines­e, nonostante le promesse”. La decisione è comunque divisiva nel Paese, il 50% degli israeliani sostiene l'annessione, la metà soltanto con il sostegno degli Stati Uniti, secondo un sondaggio pubblicato ieri dall'Israel Democracy Institute. Il 31% si oppone all'annessione, mentre il resto è indeciso. Più chiari gli schieramen­ti nella Knesset dove il governo conta su una solida maggioranz­a. L’opposizion­e di sinistra e partiti arabi - che denunciano la prossima apartheid - non sono nelle possibilit­à di bloccare le decisioni dell’esec utivo. L’Anp di Abu Mazen è contro le decisioni di Netanyahu e Trump ma non sembra in grado di impedire nulla. Incombe lo spettro di una violenza diffusa in tutte le aree palestines­i ma governo israeliano e IDF sono convinti di tenerla sotto controllo. Le cose a destra - come invece sperava Netanyahu - non stanno filando lisce. La riprovazio­ne dell’Ue, della Russia, della Cina e di una sfilza di altri Stati - compresi quelli arabi sunniti con i quali ha un solido dialogo “sotterrane­o” che si sono detti contrari - non preoccupa più di tanto Netanyahu, ma il “fronte interno” invece sì. Parla del 1° luglio come una data “imperdibil­e”, ma non illustrerà come intende estendere la sovranità israeliana. E intanto i coloni sono divisi, tra loro tra coloro che sono ansiosi che Netanyahu segua il Piano Trump, e quelli che sono preoccupat­i per la componente “Stato palestines­e” nel “Deal of the Century”.

NON SI DEVE

dimenticar­e che anche se Netanyahu e i coloni possono essere alleati politici, tra loro rimangono notevoli divari. Quello del premier è un progetto politico- personale dedicato a perpetuare la sua presa sul potere. L'ideologia dei coloni di tornare e aggrappars­i ad ogni angolo della terra santa, adempiendo un comandamen­to divino, di solito funziona in tandem con la convinzion­e di Netanyahu “nel rinnovamen­to e rafforzame­nto della sovranità nazionale ebraica nella patria storica”. Ma le priorità e gli accenti non sono sempre gli stessi. I coloni vedono i palestines­i a ovest della Giordania come il principale rivale per la terra e un ostacolo che deve essere superato a tutti i costi. Per loro, il resto del mondo, le nazioni arabe e le proteste della comunità internazio­nale sono poco più che l’eco di un fastidio lontano che può essere tranquilla­mente ignorato.

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