Guaidó fa litigare Parigi e Caracas
L'OPPOSITORE VENEZUELANO Smentita la sua fuga nell’ambasciata francese Teme l’arresto dopo che Maduro ha sventato l’ultimo attacco dei mercenari
DISPETTI IL 3 MAGGIO TAGLIATA LA LUCE ALLA SEDE DIPLOMATICA
“Juan Guaidó è rifugiato nell'ambasciata di Francia in Venezuela”. Ma non è vero. O forse si? Conferme e smentite, poi avallate definitivamente dall'entourage del leader dell'opposizione in Venezuela, sono rimbalzate ieri tra Caracas e Parigi. Prima le accuse di Jorge Arreaza, ministro venezuelano degli Esteri, in un'intervista a Union Radio. Alla giornalista che gli chiede di Guaidó e di un'altra figura di spicco dell'opposizione al regime di Maduro, Leopoldo Lopez, che sarebbe ospitato nell'ambasciata di Spagna a Caracas, Arreaza risponde: “Non possiamo entrare nelle ambasciate degli altri paesi, in questo caso di Francia e Spagna, per far sì che la giustizia li porti via con la forza. Non è possibile. Che vergogna – ha aggiunto - per le diplomazie di questi pae si”. A Parigi la prima smentita arriva al sito del magazine L'Obs dal responsabile della comunicazione di Guaidó, che dice: “Guaidó è a casa sua, a Caracas”. Poco dopo c'è la conferma del ministero francese degli Esteri: “Monsieur Guaidó non si trova in nessuna delle residenze dello stato francese a Caracas”.
LO STESSO GUAIDO conferma sul suo profilo Twitter: “Sono come sempre con la gente”. Anche Maduro alcuni giorni fa aveva suggerito che Guaidó si fosse “nascosto in un'ambasciata”. Perché il leader dell'opposizione avrebbe dovuto cercare protezione? Nessun mandato di arresto noto pesa contro di lui. Maduro lo chiama “il fuggitivo”.
Lo accusa regolarmente di complottare contro di lui e gli promette il carcere. L'ultimo motivo potrebbe riguardare il tentativo naufragato del 3 maggio di “invadere” via mare il Venezuela. Il 5, il procuratore generale del Venezuela, Tarek Saab, lo ha accusato di aver “reclutato mercenari” per fomentare l'operazione (poi rivendicata da un gruppo ribelle che avrebbe agito in modo autonomo) con la complicità degli Stati Uniti. Tra le 45 persone arrestate, due sono cittadini statunitensi.
Washington ha smentito. A marzo Saab aveva già convocato Guaidó per “tentato colpo di stato”. Perché Parigi? La Francia è tra i cinquanta paesi che riconoscono in Guaidó il vero presidente del Venezuela dopo i presunti brogli allo scrutinio del 2018 che si è concluso con la rielezione contestata di Nicolás Maduro.
Da mesi Parigi e Caracas sfiorano la crisi diplomatica. Primo incidente a gennaio. Guaidó era uscito clandestinamente dal Venezuela per un viaggio a tappe, tra cui l'Europa. Il 14, Macron annuncia di averlo accolto all'Eliseo e pubblica una foto in cui gli stringe la mano scrivendo: “La Francia sostiene l'organizzazione rapida di elezioni presidenziali libere e trasparenti”. Era seguito un twitt, in francese, del ministro Arreaza: “Un governo sordo e arrogante non può dare lezioni di democrazia a nessuno, di sicuro non al Venezuela”. Arreaza faceva riferimento ai lunghi mesi di caos per le proteste contro la riforma delle pensioni e dei Gilet gialli prima. Secondo incidente a febbraio.
L'11, rientrando in Venezuela dal “tour” europeo, Guaidó viene accolto in aeroporto da diversi diplomatici, tra cui l'ambasciatore di Francia RomainNadal. In un twitt, Arreaza accusa Parigi di “ingerenza politica” e la invita “a rinfrescarsi la memoria sul contenuto dell'articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche”, che vieta appunto agli Stati di intromettersi negli affari interni altrui. La risposta di Parigi è secca:
“Lo scopo della sua presenza era di promuovere la soluzione politica sostenuta dalla Francia in Venezuela”. Arriviamo a maggio.
Il 2, in piena crisi sanitaria, due pattuglie di agenti del Sebin, i servizi segreti venezuelani, cominciano a sorvegliare la strada dove vive l'ambasciatore, a Caracas.
Il 3 alla residenza vengono tagliate la luce e il gas. La situazione è “allarmante”, scrive l'agenzia France Presse. Il 14, Parigi convoca l'ambasciatore del Venezuela: “La Francia condanna queste misure che attaccano il normale funzionamento della nostra rappresentanza diplomatica”.