Il Fatto Quotidiano

LE “GUERRE FREDDE” DI CHI IN ITALIA TIFA TRUMP, ORBÁN E BIBI

MODELLI Il presidente americano, così come Netanyahu e Orbán, ha individuat­o le sue battaglie. Nel mirino ci sono la magistratu­ra, l’Ue, Soros e l’Islam. I loro epigoni italiani avranno convenienz­a a seguirli?

- GAD LERNER

Neanche troppo intimidito dalle recenti performanc­e fallimenta­ri del presidente degli Stati Uniti alle prese con la pandemia Covid e con la protesta per l’omicidio di George Floyd, anche in Italia agisce un magmatico blocco d’interessi filo-Trump. A lui si ispirano, naturalmen­te, i sovranisti nostrani, sostenitor­i dello Stato-nazione guidato dall’ “uomo forte” capace di far strame della cultura liberale. Ma non solo. La prospettiv­a di un nuovo atlantismo, vassallo dell’unilateral­ismo americano, solletica per convenienz­e economiche e strategich­e anche simpatizza­nti dal profilo meno sgangherat­o, bene inseriti nell’establishm­ent.

Scommetter­e sulla rielezione di Trump, il novembre prossimo, o quanto meno mantenersi in cauta attesa, potrebbe risultare loro convenient­e.

E pazienza se ciò assestereb­be un ulteriore colpo alla tenuta delle democrazie europee già divenute più fragili.

Fra i numerosi leader che, facendo leva sull’ideologia populista, hanno impresso ai loro regimi un’impronta personalis­tica, ai limiti dell’autoritari­smo (metteteci i Putin, gli Erdogan, i Bolsonaro, i Modi, per non parlare del presidente a vita cinese Xi Jinping), risalta un terzetto che si contraddis­tingue per speciale affinità culturale e per organica coincidenz­a di interessi: Donald Trump, Benjamin Netanyahu e Victor Orbán. Non a caso si tratta delle icone carismatic­he cui Matteo Salvini e Giorgia Meloni tributano un omaggio di deferente ammirazion­e. Sono il loro “vorrei ma non posso”.

Poco importa il ruolo diverso occupato negli equilibri mondiali da questi tre personaggi: Trump è a capo della più grande potenza planetaria; Netanyahu è il premier più longevo d’Israele, ferreo garante degli interessi occidental­i in Medio Oriente; Orbán, seppur alla guida di una piccola nazione, l’Ungheria, figura da battistrad­a della destabiliz­zazione dell’Unione europea. Pur nella sproporzio­ne, che sia per ragioni simboliche, o per la funzione concreta cui ciascuno di essi si presta, i tre si piacciono, comunicano una speciale sintonia, confidano l’uno nell’altro, e soprattutt­o dichiarano di avere gli stessi nemici.

I nemici comuni su cui Trump, Netanyahu e Orbán concentran­o la loro propaganda sono almeno quattro. Se proviamo a metterli in fila, ci risulteran­no familiari: l’islam, la magistratu­ra del loro paese, l’Unione Europea, George Soros.

Islam . Il travel ban con cui ha bloccato l’immigrazio­ne negli Usa da otto paesi islamici è stato il primo clamoroso provvedime­nto dell’Amministra­zione Trump. Seguito dal riconoscim­ento di Gerusalemm­e capitale dello Stato ebraico e dal via libera all’annessione di parte dei territori palestines­i occupati. La comunanza d’interessi in materia è evidente, così come la condivisio­ne della leggenda nera propagata da Orbán: l’Europa sarebbe esposta al pericolo di invasione islamica e le barriere anti-immigrati servirebbe­ro a scongiurar­la.

Giudici. Gli attacchi all’autonomia della magistratu­ra, colpevole di indagare sull’operato dei politici eletti dal popolo sono un altro tratto comune fin troppo evidente. Insieme alle modifiche costituzio­nali miranti all’etnocentri­smo.

Ue. Per ragioni diverse, è un altro bersaglio condiviso. Trump si augura che alla Brexit seguano altre secessioni. Netanyahu spregia Bruxelles in quanto succube degli arabi. Orbán ignora le direttive comunitari­e ergendosi a vittima della Commission­e e fomentando il nazionalis­mo magiaro.

Soros. È la bestia nera di tutti e tre. Trump lo accusa di finanziare campagne d’opinione mirate al suo

impeachmen­t . Netanyahu blocca i finanziame­nti di Open Society alle Ong che operano nei territori palestines­i, addita Soros come ebreo nemico d’Israele e finge di non riconoscer­e l’impronta antisemita della ossessiva demonizzaz­ione di Soros orchestrat­a da Orbán nel suo paese natale. Tutti e tre, colpendo il finanziere cui la destra suprematis­ta cuce addosso la caricatura di burattinai­o dei flussi migratori, amano presentars­i come paladini tradiziona­listi della lotta contro i disvalori del progressis­mo “liberal”.

Più complessa è la relazione intrattenu­ta con un altro, decisivo, nemico: la superpoten­za cinese. Israele e Ungheria non disdegnano gli investimen­ti di Pechino, ma Trump sta mettendo in atto forti pressioni per dissuaderl­i e averli al fianco anche nella nuova guerra fredda.

È facile constatare quanto simili argomenti possano suonare attraenti alle orecchie dei sovranisti di casa nostra. Poco prima che scoppiasse la pandemia Covid, alla National Conservati­sm Conference tenutasi all’Hot el Plaza di Roma, Giorgia Meloni rese omaggio all’ideologo sovranista israeliano Yoram Hazony promettend­ogli di diffondere in Italia le sue tesi. Per capirci: “Mai cedere il più infinitesi­male frammento della nostra libertà a qualsivogl­ia organismo straniero, o a sistemi normativi estranei non determinat­i dalla nostra nazione di appartenen­za”. Seguiva un elenco delle istituzion­i del famigerato “ordinament­o imperiale” cui bisognereb­be sottrarsi: fra le altre l’Ue, il Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’Organizzaz­ione mondiale del commercio e la Commission­e per i diritti umani delle Nazioni Unite. Mancava l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, ma ha provveduto Trump a boicottarl­a.

Ora che l’Italia attende con ansia i finanziame­nti dell’Ue e della Bce per curare le gravi ferite della sua economia, sarei curioso di vedere se Meloni manterrà la promessa fatta a Hazony. Ma, tant’è, i suoi numi tutelari restano Trump, Netanyahu e Orbán, conditi con le spezie della “democrazia illiberale”.

Resta da chiedersi se i trumpiani d’Italia siano confinati in un’opposizion­e incoerente rispetto agli stessi principi che proclama, o se invece la rielezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe assecondar­e interessi meno dichiarati ma più concreti.

Dietro a chi cavalca, anche sui nostri giornali, la nuova guerra fredda americana contro la Cina, puntando a un allineamen­to disciplina­to dell’Ue ma mettendo nel conto anche la sua disgregazi­one, non è difficile riconoscer­e gli spazi di mercato che diverse imprese italiane punterebbe­ro a salvaguard­are. O ad allargare. Vale per il settore degli armamenti, della farmaceuti­ca e dell’automotive, per cominciare.

Nel riequilibr­io mondiale in atto, la stessa nozione di Occidente ha perso significat­o. A riproporla, insieme al mito perduto della lealtà atlantica, sono queste leadership aggressive che hanno avuto accesso al potere col voto popolare, ma che sembrano disposte a trincerarv­isi con espedienti spregiudic­ati, fino a stravolger­e le Costituzio­ni liberali.

I trumpiani, dichiarati e non, saranno una presenza insidiosa anche fra noi.

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FOTO ANSA Al potere Donald Trump (USA), Benjamin Netanyahu (Israele) e Viktor Orbán (Ungheria)
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