Il Fatto Quotidiano

• Monaco Il Conte politico

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Travaglio e Padellaro hanno ragione a irridere i retrosceni­sti, spesso non innocenti, che strologano sulle intenzioni più o meno segrete di Conte. Specie quando si spingono sino alle bizzarrie, tipo la candidatur­a a sindaco di Roma o alle Suppletive di Sassari. È ragionevol­e e auspicabil­e che Conte coltivi ben altre ambizioni. Per sé, per il governo, per l’evoluzione del sistema politico. Mi spiego: il problema del futuro politico di Conte esiste e va messo in relazione con l’esigenza più volte accennata dal saggio Bersani, che pure è il più convinto sostenitor­e del governo, di applicarsi a dargli respiro e orizzonte politico. Il direttore ricorderà le mie perplessit­à all’atto del repentino cambio di maggioranz­a e governo, con la conferma della premiershi­p di Conte. Pur avendo sempre auspicato l’intesa M5S-Pd, obiettavo che quel passaggio fosse troppo brusco, estemporan­eo, difficile da raccontare prima ancora che da gestire. Mi sbagliavo. Oggi mi iscrivo tra coloro che giudicano positivame­nte l’azione del governo nel fronteggia­re il dramma che ci ha investito e tremo al solo pensiero che a gestirlo avrebbe potuto essere la destra nostrana. Si pensi solo alla Lombardia o alla manifestaz­ione del 2 Giugno. Ma la fase della ricostruzi­one esige un salto di qualità. E la qualità dipende anche dall’o r i zzonte politico, dalla visione del premier e delle forze che lo sostengono. Anche perché, checché si favoleggi, maggioranz­e alternativ­e in questo Parlamento non ci sono e a elezioni – complici emergenza, referendum e semestre bianco – non ci si può andare. Quattro sono le condizioni per operare tale scatto.

Un chiariment­o politico identitari­o dei 5Stelle, che ponga fine all’ambiguità della teoria che li vorrebbe né di destra né di sinistra. Solo chi nutre un invincibil­e pregiudizi­o può negare il loro processo di maturazion­e rispetto alla stagione movimentis­ta e meramente oppositiva, ma neppure si può ignorare che siano necessari ulteriori passi: nei fondamenta­li di politica estera, nella cultura di governo, nella qualità della classe dirigente (auspico che cada il limite dei due mandati, per non dissipare positive esperienze nelle istituzion­i, correggend­o così la residua riserva verso la politica intesa come attività dotata di una sua tecnicalit­à che si apprende facendola).

Il Pd dovrebbe fare il “congresso” che non ha mai fatto e fare i conti col deragliame­nto del renzismo. Cioè con quella curiosa miscela di populismo l ig h t e di schiacciam­ento sull’e stab li

shment . Alla luce dell’approdo di Renzi alle posizioni (e ai comportame­nti) di FI, come non domandarsi come sia stato possibile che, a lungo incontrast­ato dalla quasi totalità del gruppo dirigente tuttora Pd, egli abbia potuto proporsi come leader della sinistra? Eppure non è un mistero che una parte del Pd tuttora la pensa come Renzi e qualche suo dirigente ancora risponde a lui. Di nuovo ha ragione Bersani: si deve aprire un cantiere davvero nuovo, che muova da u n’onesta, comune autocritic­a, che sia per tutti una sfida non indolore al cambiament­o. È una condizione per fare dell’attuale collaboraz­ione di governo un’alleanza strategica.

Il capitale politico e di fiducia accumulato da Conte. Non so come lo spenderà: se come leader riconosciu­to del M5S, o con una sua autonoma formazione, o al modo di Prodi come uomo di governo privo di un suo organico partito di riferiment­o ( handicap che Prodi pagò). Ma Conte sbagliereb­be se non si interrogas­se su come investire quel capitale.

Penso non sia fuori luogo un allargamen­to del cantiere politico ad altri attori, per attrezzars­i a una sfida difficile con una destra oggi favorita. Due esempi: anche a me non piace il “pierinismo” di sindaci e presidenti di Regione (quando la si finirà di chiamarli governator­i?) che, ancor prima del secondo mandato, già occhieggia­no a Roma, ma un loro contributo può essere utile; o penso a Calenda, il cui stile nel fare opposizion­e è di gran lunga più composto di quello (programmat­icamente ricattator­io) con cui Renzi sta ( si fa per dire) nella maggioranz­a. Calenda sembra aver compreso che non esistono governi con dentro tutti, non è sospetto di collusioni con la destra e batte un chiodo giusto: quello, annoso, del know how, della implementa­zione delle decisioni pubbliche. Faccia cadere le sue pregiudizi­ali ideologich­e e la maggioranz­a gli offra l’opportunit­à di cooperare. Il cantiere politico dev’essere aperto e largo e Conte ha i titoli per esserne attore- protagonis­ta. Fregandose­ne delle gelosie di chi, anche in queste ore, muovendo critiche pretestuos­e agli annunciati “stati generali dell’economia” (a me pare una buona idea che va nel senso di una visione), gli contesta un improprio protagonis­mo. Alle manovre ispirate a miopi egoismi di partito egli riuscirà a sopravvive­re solo se deciderà di vivere alzando la posta. Senza dimettere la mediazione, la fase prescrive l’esercizio della leadership . Anche per Conte si profila la sfida di una fase 3: da avvocato a premier e ora – se gli riuscirà – a leader.

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