Pulcini, “tose” e topi: Zaia non si ferma più
È l’amministratore pragmatico che non si è fatto travolgere dal Covid: il contrario del disastroso Attilio Fontana
Lo strappo più evidente lo ha consumato il giorno dopo che Matteo Salvini, in crisi d’astinenza di selfie e bagni di folla, a Roma ha marciato per via del Corso, incurante dell’obbligo di indossare la mascherina. Luca Zaia, il 2 giugno, in piazza non c’è andato. Neppure a Mestre, dove si è tenuto un piccolo flash mob. Aveva promesso ai giornalisti che avrebbero comunque avuto la sua foto con il tricolore. Nulla, se non un commento affilato: “C’era il rischio di qualche assembramento e trovarsi in mezzo avrebbe trasformato la manifestazione in una mega polemica contro chi prima firmava ordinanze e poi va in piazza”.
Istituzionale, affidabile, a tratti formale, il presidente del Veneto ha voluto marcare la differenza. Ovvero, le due facce della Lega di lotta e di governo. Tanto Salvini è sanguigno, anti-sistema, in stato di conflitto permanente effettivo con Conte, tanto Zaia, l’ex promo
ter di feste in discoteca, il politico veneto di più lungo corso, vuole apparire raziocinante e positivo, un amministratore pratico, che non si fa travolgere dalle crisi (come invece il suo collega lombardo
Attilio Fontana), anzi le cavalca.
CONSENSO.
Ha così preferito restare imbullonato alla sedia, nella sede della Protezione civile a Marghera, dove da 110 giorni va in scena, a seconda dell’evolversi della pandemia, il più drammatico, realistico, serissimo show di una comunicazione politica che si trasforma anche in surreale caravanserraglio di opinioni, chiacchiere minimaliste, informazioni a buon mercato, frizzi e lazzi. Uno spettacolo in cui fa nascere i pulcini in diretta, mette all’asta uova di Pasqua, mostra i disegni dei bambini e dialoga a distanza con le “tose di Zaia”, giovani donne che lo amano. Dipendesse da lui, fino al giorno delle prossime Regionali non si alzerebbe più da quella sedia su cui ogni dì a mezzogiorno e mezzo racconta ai veneti la battaglia contro il Coronavirus, la bravura dei veneti, l’eccellenza della sanità (veneta), la generosità veneta nelle collette, la prudenza veneta nel rispettare regole e indossare mascherine. Altro che ombrellone in spiaggia a Jesolo – con distanziamento –, la tintarella lui continuerebbe a prenderla lì, discettando di tutto, sotto i riflettori, con alle spalle Chiara Scipio
ne, che traduce le parole nella lingua dei segni, perché anche i non udenti sono elettori.
Più trascorrono le settimane e le terapie intensive si svuotano (ieri, solo un ricoverato positivo al Covid-19), più l’happening con la stampa si trasforma in kermesse elettorale. “E tutto a spese della R e gi o n e”, commenta E n ri c o
Cappelletti, candidato M5S alle Regionali. Alessandro Bisato, segretario Pd veneto, aggiunge: “Da mesi c’è un uomo solo che parla”. E +Europa ne chiede l’interruzione: “Solo propaganda”.
VERSO LE REGIONALI.
Le elezioni sono il secondo strappo con Salvini, che un mese fa riunì i parlamentari e disse: “Si vota in autunno”. Invece Zaia voleva le urne a luglio, ufficialmente per ragioni sanitarie, in realtà per usufruire dello scivolo formidabile di una notorietà acquisita sul campo. A Salvini sta bene uno Zaia in campagna elettorale, perché in autunno spera di assestare un colpo al governo. Per il segretario è il leghista più ingombrante. Troppo popolare, anche se gli giura fedeltà e resiste alle sirene ( Financial Times, sondaggi di alto gradimento) che lo vorrebbero proiettato verso incarichi nazionali. “Devo finire il mio lavoro qui”, dice. L’estate la trascorrerà a inseguire la sua terza elezione, forte anche della conferenza stampa diventata simbolo di strapotere.
SCIVOLONI.
Una macchina del consenso per far dimenticare alcune plateali scivolate. Quando all’ inizio disse che la pandemia “è solo mediatica”. Che i veneti non si infettano perchè si lavano. Che i cinesi mangiano topi vivi. Oppure quando il 7 marzo contestò la prima “zona rossa” di Giuseppe
Conte che comprendeva tre province venete: “L’emergenza non c’è”. Salvo implorare, due giorni dopo: “Tutti in casa, o in un mese avremo due milioni di contagi in Veneto”. Oppure quando lesse una “bellissima poesia” dell’ inesistente storico Eracleonte da Gela sul “male nell’aria”. O quando ha sentenziato che il virus è mutato, quindi è stato creato in laboratorio, inducendo il suo mite avversario elettorale, il professore Ar
turo Lorenzoni, a dire: “Parla come Trump”. Poi Zaia ha decapitato in diretta la testa del povero professor Andrea Crisanti, il padre dei tamponi che hanno salvato il Veneto, reo di aver criticato il funzionamento della sanità regionale: in due giorni ha schierato un magic team di medici, ricercatori, primari, per dimostrare che il Coronavirus non è stato sconfitto da Crisanti, ma dallo staff del presidente Zaia. L’unico contro cui non muove un dito è Matteo Salvini. “Tranquilli, non si metterà contro di lui, perché non cerca rogne”, assicura Flavio Tosi, ex sindaco di Verona ed ex segretario della Lega Nord-Liga Veneta. Per questo i due, che non si amano appassionatamente, faranno vacanze separate.