Il Fatto Quotidiano

Pulcini, “tose” e topi: Zaia non si ferma più

È l’amministra­tore pragmatico che non si è fatto travolgere dal Covid: il contrario del disastroso Attilio Fontana

- » Giuseppe Pietrobell­i

Lo strappo più evidente lo ha consumato il giorno dopo che Matteo Salvini, in crisi d’astinenza di selfie e bagni di folla, a Roma ha marciato per via del Corso, incurante dell’obbligo di indossare la mascherina. Luca Zaia, il 2 giugno, in piazza non c’è andato. Neppure a Mestre, dove si è tenuto un piccolo flash mob. Aveva promesso ai giornalist­i che avrebbero comunque avuto la sua foto con il tricolore. Nulla, se non un commento affilato: “C’era il rischio di qualche assembrame­nto e trovarsi in mezzo avrebbe trasformat­o la manifestaz­ione in una mega polemica contro chi prima firmava ordinanze e poi va in piazza”.

Istituzion­ale, affidabile, a tratti formale, il presidente del Veneto ha voluto marcare la differenza. Ovvero, le due facce della Lega di lotta e di governo. Tanto Salvini è sanguigno, anti-sistema, in stato di conflitto permanente effettivo con Conte, tanto Zaia, l’ex promo

ter di feste in discoteca, il politico veneto di più lungo corso, vuole apparire raziocinan­te e positivo, un amministra­tore pratico, che non si fa travolgere dalle crisi (come invece il suo collega lombardo

Attilio Fontana), anzi le cavalca.

CONSENSO.

Ha così preferito restare imbullonat­o alla sedia, nella sede della Protezione civile a Marghera, dove da 110 giorni va in scena, a seconda dell’evolversi della pandemia, il più drammatico, realistico, serissimo show di una comunicazi­one politica che si trasforma anche in surreale caravanser­raglio di opinioni, chiacchier­e minimalist­e, informazio­ni a buon mercato, frizzi e lazzi. Uno spettacolo in cui fa nascere i pulcini in diretta, mette all’asta uova di Pasqua, mostra i disegni dei bambini e dialoga a distanza con le “tose di Zaia”, giovani donne che lo amano. Dipendesse da lui, fino al giorno delle prossime Regionali non si alzerebbe più da quella sedia su cui ogni dì a mezzogiorn­o e mezzo racconta ai veneti la battaglia contro il Coronaviru­s, la bravura dei veneti, l’eccellenza della sanità (veneta), la generosità veneta nelle collette, la prudenza veneta nel rispettare regole e indossare mascherine. Altro che ombrellone in spiaggia a Jesolo – con distanziam­ento –, la tintarella lui continuere­bbe a prenderla lì, discettand­o di tutto, sotto i riflettori, con alle spalle Chiara Scipio

ne, che traduce le parole nella lingua dei segni, perché anche i non udenti sono elettori.

Più trascorron­o le settimane e le terapie intensive si svuotano (ieri, solo un ricoverato positivo al Covid-19), più l’happening con la stampa si trasforma in kermesse elettorale. “E tutto a spese della R e gi o n e”, commenta E n ri c o

Cappellett­i, candidato M5S alle Regionali. Alessandro Bisato, segretario Pd veneto, aggiunge: “Da mesi c’è un uomo solo che parla”. E +Europa ne chiede l’interruzio­ne: “Solo propaganda”.

VERSO LE REGIONALI.

Le elezioni sono il secondo strappo con Salvini, che un mese fa riunì i parlamenta­ri e disse: “Si vota in autunno”. Invece Zaia voleva le urne a luglio, ufficialme­nte per ragioni sanitarie, in realtà per usufruire dello scivolo formidabil­e di una notorietà acquisita sul campo. A Salvini sta bene uno Zaia in campagna elettorale, perché in autunno spera di assestare un colpo al governo. Per il segretario è il leghista più ingombrant­e. Troppo popolare, anche se gli giura fedeltà e resiste alle sirene ( Financial Times, sondaggi di alto gradimento) che lo vorrebbero proiettato verso incarichi nazionali. “Devo finire il mio lavoro qui”, dice. L’estate la trascorrer­à a inseguire la sua terza elezione, forte anche della conferenza stampa diventata simbolo di strapotere.

SCIVOLONI.

Una macchina del consenso per far dimenticar­e alcune plateali scivolate. Quando all’ inizio disse che la pandemia “è solo mediatica”. Che i veneti non si infettano perchè si lavano. Che i cinesi mangiano topi vivi. Oppure quando il 7 marzo contestò la prima “zona rossa” di Giuseppe

Conte che comprendev­a tre province venete: “L’emergenza non c’è”. Salvo implorare, due giorni dopo: “Tutti in casa, o in un mese avremo due milioni di contagi in Veneto”. Oppure quando lesse una “bellissima poesia” dell’ inesistent­e storico Eracleonte da Gela sul “male nell’aria”. O quando ha sentenziat­o che il virus è mutato, quindi è stato creato in laboratori­o, inducendo il suo mite avversario elettorale, il professore Ar

turo Lorenzoni, a dire: “Parla come Trump”. Poi Zaia ha decapitato in diretta la testa del povero professor Andrea Crisanti, il padre dei tamponi che hanno salvato il Veneto, reo di aver criticato il funzioname­nto della sanità regionale: in due giorni ha schierato un magic team di medici, ricercator­i, primari, per dimostrare che il Coronaviru­s non è stato sconfitto da Crisanti, ma dallo staff del presidente Zaia. L’unico contro cui non muove un dito è Matteo Salvini. “Tranquilli, non si metterà contro di lui, perché non cerca rogne”, assicura Flavio Tosi, ex sindaco di Verona ed ex segretario della Lega Nord-Liga Veneta. Per questo i due, che non si amano appassiona­tamente, faranno vacanze separate.

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