Il Fatto Quotidiano

La proposta di Zinga: non è tutto ovvio quello che luccica

- ANDREA SCANZI

“B abbo c’è un imbianchin­o vestito di nuovo/ C’è la pelle di un vecchio serpente/ Appena uscita da un uovo/ E c’è un forte rumore di niente/ Un forte rumore di niente...”. Sono parole, magistrali, di Francesco De Gregori. È improbabil­e che nel vergarle pensasse a Zingaretti (Nicola), ma l’immagine “rumore di niente” lo racconta appieno. E non è neanche detto che sia per forza un male, tenendo conto della cacofonia perdurante che caratteriz­za le mosse di Salvini e Renzi.

FORSE PERÒ ZINGARETTI

insegue sin troppo il minimalism­o. Vien sempre da domandarsi, le rare volte in cui ci si ricorda che Zingaretti è davvero il segretario del Partito democratic­o, cosa mai passi per la testa del governator­e del Lazio. Ieri, nella relazione alla direzione, l’ineffabile Zinga è tornato a parlare. I passaggi più forti sono anche stati i più fumosi, e anche questo è normale perché Zingaretti è tipo da non dire niente anche quando dice tutto (e viceversa).

“Bene gli Stati generali, ma attenzione al rispetto dei tempi certi” è la classica frase che non vuol dire nulla. Così come l’allusione al bivio tra “un’Italietta e un nuovo modello di sviluppo”. Scontata pure l’affermazio­ne “fondamenta­le la lotta alle disuguagli­anze”.

Quindi l’ineffabile Zinga ha parlato a vuoto? Sì e no. In primo luogo, ha (a suo modo) blindato il governo. Lo ha fatto dando l’impression­e di apprezzare ancora Conte, ma più che altro constatand­o come non ci siano al momento alternativ­e praticabil­i. Come a dire: l’entusiasmo è altrove, ma questo passa il convento. Che è poi quel che pensano anche i 5 Stelle. Zingaretti ha parlato di “necessità per tutti di un salto di qualità” e di una “decisiva svolta” da imprimere “con gli alleati”, perché “siamo a un momento cruciale in cui si giocano i destini della legislatur­a e il futuro”. Siamo sempre nel regno dell’ovvio travestito da quasi rivoluzion­e, uno dei nowhere preferiti dal segretario Pd.

Zingaretti ha però indovinato due passaggi. Il primo è stato questo: “So quante difficoltà abbiamo dovuto affrontare nel rapporto con gli alleati e soprattutt­o con il M5S, restano temi spinosi in cui le posizioni restano lontane come la giustizia e un certo fondamenta­lismo su temi come l’economia e la giustizia, ma nel governo è prevalso un approccio nuovo e certe barriere si sono incrinate. Noi abbiamo fatto prevalere il rapporto con l’Ue e in quella sede ci siamo presentati uniti”. Un passaggio chiave, che ha verosimilm­ente ispirato il secondo rivolto proprio al M5S: “Non ostacolate nei territori le alleanze che si potrebbero creare, l’obiettivo è battere le destre. Se siamo qui, non travolti dalla demagogia populista della destra, è perché abbiamo fatto la scelta di dare vita a questo governo Conte, tentando una strada fatta di alleanze tutte nuove. Se non avessimo fatto questa scelta avremmo avuto un governo di destra presieduto da Salvini, e vi lascio immaginare in quale isolamento l’Italia si sarebbe trovata. Probabilme­nte non avremmo ottenuto nulla dall’Europa”. È qui che Zingaretti risulta impeccabil­e e costringe il M5S a una risposta inequivoca­bile: ferme restando le differenze talora marcate tra Pd e 5Stelle, di fronte a una destra quasi sempre becera e irricevibi­le, voi da che parte state? Se il M5S risponderà no a prescinder­e, regalerà il Paese a Salvini. Se il M5S accetterà senza fiatare l’alleanza ovunque, si snaturerà e morirà. Ma se costringer­à a sua volta il Pd a svecchiars­i anche a livello locale, liberandos­i di trasformis­ti e carampane, allora sarà un win win. E Salvini proseguirà nella sua esaltante erosione di consensi.

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