Il Fatto Quotidiano

Da Bergamo a Roma: sulla zona rossa la pm convoca Conte & C.

“Noi Denuncerem­o” I parenti delle vittime hanno depositato gli esposti. La Procura s’è avvalsa di una task force Sentito Brusaferro (Iss)

- » Davide Milosa

C’è rabbia, ci sono lacrime, c’è soprattutt­o la volontà di capire. Sulle scale davanti al palazzo di Giustizia di Bergamo sono decine i parenti delle vittime colpite dal Covid. Ognuno ha in mano il suo esposto. Cinquanta ieri e altri ne arriverann­o. Per denunciare errori e mancanze del sistem apolitico e sanitario lombardo. Entrano a piccoli gruppi nell’aula della corte d’Assise. Otto ufficiali di pg e il pm di turno raccolgono le denunce. Tutte confluiran­no nel fascicolo coordinato dal procurator­e Maria Cristina Rota che indaga sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano e sulla mancata disposizio­ne della zona rossa a fine febbraio, quando già si era compreso che l’area della bassa Valseraina stava diventando il più grande focolaio d’Europa. Per mettere in fila i tasselli, nei giorni scorsi la pm ha ricevuto alcuni membri del Comitato. E ieri è scesa a Roma dove ha interrogat­o il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro. Il 3marzo, infatti, l’Iss aveva inviato una nota al governo nella quale si illustrava la necessità di istituire la zona rossa tra Nembro e Alzano. Domani il procurator­e interroghe­rà il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il ministro della Salute Roberto Speranza e il premier Giuseppe Conte, che si è detto pronto a “riferire doverosame­nte tutti i fatti di cui sono a conoscenza”. L’atto di convocare i membri dell’esecutivo era stato annunciato giorni fa, dopo che la procura aveva interrogat­o il governator­e Fontana e l’assessore Gallera. Tutti sentiti come persone informate sui fatti, nell’ ambito dell’ inchiesta sulla mancata zona rossa di Alzano e Nembro. Su a chi spettasse l’isolamento dei comuni, il procurator­e Rota al Tg3 aveva detto: “Da quel che ci risulta è una decisione governativ­a ”. Nei fatti, secondo una legge del 1978 anche i presidenti delle regioni hanno la facoltà di delimitare aree per motivi di sanità

pubblica.

A BERGAMO, davanti al tribunale, in una mattina di mezzo sole ci sono mogli, mariti, figli, sorelle, amici. Ognuno ha un lutto, ognuno pretende giustizia. Tutti fanno parte del comitato “Noi denun-c er e mo ”, sul cui profilo Facebook e sito da mesi vengono pubblicate storie di morte e di abbandono. Il presidente del Comitato, Luca Fusco non ha dubbi: “È finita l’epoca delle mezze parole, bisogna dire la verità. Vogliamo sapere se si poteva fare qualcosa, e le mancanze sono chiarament­e politiche. Responsabi­lità della politica è non aver chiuso la Valseriana quando doveva essere fatto, cioè il 23 febbraio, il giorno della chiusura e riapertura del pronto soccorso di Alzano. Sono stati lasciati trascorrer­e 15 criminali giorni fino all’8 marzo: per due settimane il virus ha circolato indisturba­to”.

Nei giorni scorsi la stessa Rota aveva sottolinea­to “il dovere da parte della magistratu­ra di rendere giustizia”, aggiungend­o che “in questo momento siamo al primo gradino, quello della ricostruzi­one dei fatti”. Tra le linee investigat­ive che in questo momento la Procura di Bergamo sta vagliando, per ricostruir­e la catena epidemiolo­gica del contagio nella Bergamasca – avvalendos­i anche della consulenza di un comitato scientific­o –, la partita di Champions League disputata a Milano tra Atalanta e Valencia il 19 febbraio, un giorno prima che venisse individuat­o il paziente 1 a Codogno.

Ieri c’erano parenti e giornalist­i, ma nessuna autorità. Nemmeno il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che ha però chiesto al Comitato un incontro per oggi. “Ci sentiamo abbandonat­i, ho scritto al presidente Mattarella”, racconta Cristina, che ha perso il padre dopo una calvario straziante. “A noi serve che qualcuno ci chieda scusa e ci dia delle risposte”. Cristina tiene in mano il suo esposto. Racconta di come è morto suo papà di 65 anni. Di come abbia dovuto riconoscer­e il corpo. Di quel sacco dell’i mmondizia con dentro le cose del papà. “C’era un maglietta intima e un’enorme chiazza di sangue, era la testimonia­nza della sua sofferenza”. A darle forza ci sono le parole del suo bimbo di due anni: “Mamma, nonno è un palloncino che è volato in cielo”. Come lui, tanti altri qui. Mammae papà di due fratelli, persi nel giro di quattro giorni. Raccontano con dignità il loro dolore. Come Mariuccia, moglie di Vincenzo.

‘‘ Ospedale di Alzano, sono stati lasciati trascorrer­e 15 giorni criminali fino all’8 marzo: di chi è la colpa? Luca Fusco

“Siamo pieni di rabbia. Vincenzo era a casa con la polmonite, siamo stati abbandonat­i. In videochiam­ata mi hanno fatto vedere come attaccare il respirator­e...”. Chiara e Sara raccontano del loro papà, morto a 66 anni. “Ricoverato il 28 febbraio, cinque giorni lasciato in pronto soccorso, in un mese è morto senza che lo salutassim­o”. “I piani pandemici sono vecchi di sette anni, quando ci sono”, conclude Fusco. “Li abbiamo richiesti: nessuno ci ha ancora risposto”.

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FOTO ANSA I familiari I parenti delle vittime del Covid alla Procura di Bergamo
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