Evviva la balena: nessuno la cita, tutti ne parlano
Giona, poi Pinocchio e Moby Dick: nessuno la cita, tutti la immaginano
Se devo essere onesto: non ho mai visto una balena. Potrei rassegnarmi: forse non la vedrò mai, così come magari non vedrò mai l’Isola di Pasqua, la Mecca o l’aurora boreale. Nella vita non si può vedere tutto. Io però per le balene ho una venerazione, un’ossessione (ci fosse ancora TeleMike potrei partecipare al quiz portando come argomento le balene) e allora questa è una mancanza che mi mortifica. Così, per nostalgia e senso di colpa, cerco di incontrare le balene là dove so che non mi scapperanno, nelle storie, nella letteratura; e anche così resto deluso: non le vedo. Cioè, mi spiego, le balene che abitano la storia della letteratura – e sono tantissime! – non sono quasi mai balene; lo diventano nel ricordo del lettore, ma concretamente, quelle che tutti noi ricordiamo come “storie di balene” non parlano di balene. Davvero? Già.
UNA DELLE PRIME
narrazioni in cui una balena ha un ruolo decisivo è il libro biblico di Giona.
E il libro più corto della Bibbia, tre capitoli, nemmeno 60 righe, eppure in questo microcosmo appare l’immensità della balena. Giona è un profeta scorbutico e iracondo, il peggior profeta della Bibbia: inviato a Ninive a predicare da Dio in persona ( pardon , in spirito) si fa beffe della missione che gli viene affidata, sale su una nave e si fa condurre sulla rotta opposta. Scappa. Sorpreso da una tempesta, addormentato, forse ubriaco, viene scagliato in mare e tra le onde comincia ad affondare. Da qui in poi la storia è nota: prima che affoghi una balena lo inghiotte e lo porta a Ninive (dove ancora litigherà con Dio). La memoria semplifica tutto: Giona è il profeta della balena, anche Melville gli dedicherà un capitolo intero in Moby Dick. Bellissimo, solo peccato che il testo sacro non faccia mai riferimento alla balena. Dio non manda una balena a prelevare dall’abisso Giona, manda – la traduzione è letterale – un pe
sce grande. E fa differenza? Beh, prima di tutto la balena è un mammifero, non un pesce e se Dio – che appunto è Dio – avesse voluto mandare da Giona una balena non avrebbe avuto problemi a trovarne una. E invece no: manda un pesce grande. Cervellotiche cavillerie, si dirà. E invece no perché il versetto ebraico recita: “E Dio, per Giona, procurò un pesce grande”; la cosa interessante è il verbo procurare. Cioè Dio non manda il primo pesce che gli passa per la testa, ma va in ogni angolo del Mediterraneo a scegliere il pesce giusto, lo procura. E non vuole una balena, è evidente.
Andiamo avanti: P i n o c
chio. La vicenda è nota: il burattino trova nella pancia della balena Geppetto e i due da lì fuoriescono sfruttando uno starnuto dell’animale (che per altro soffre d’asma). Chi non ha mai pensato alla balena di Pinocchio? Ecco, anche qui: nessuna balena. E se il Dio di Giona è onnipotente ma vago (parla solo di pesce grande), Collodi è molto più preciso e nel testo cita il pesce scelto: un Pesce-Ca
n e. Così, con il trattino, uno squalo. E noi leggiamo squalo e vediamo una balena. Ma perché? C’è un caso ancora più eclatante, il leviatano. Il leviatano è il mostro acquatico prototipico dell’immaginario occidentale. Salta fuori ovunque e lo sanno: è una balena! Ed è curioso perché negli unici testi ebraici in cui viene descritto, il leviatano ha le squame, i denti lunghi, la coda serpentina e, ogni tanto, le zampe. Il profeta Isaia è proprio chiaro, lo chiama “serpente tortuoso”. Cioè, zoologicamente il leviatano, tenetevi forte, è un coccodrillo. Di più: è il grande coccodrillo del Nilo. Ma la memoria collettiva letteraria non si interessa di zoologia: il mito puoi anche descrivere un coccodrillo, la storia può dire chiaramente di pesce-cane ma dalla memoria emerge una balena.
Perché? Anche Melville non ha le idee chiarissime a riguardo – o meglio, le ha e gioca a confonderci: l’ombra di Moby
Dick copre ogni parola, ogni pagina del romanzo, ma il Ca
podoglio nel testo appare pochissimo e ogni volta che viene descritto tutto sembra fuorché una balena. Perché succede? Perché troviamo balene ovunque? Perché non possiamo far diverso. Perché ogni volta che nella memoria cerchiamo un’immagine per riempire la parola “mostro marino” evochiamo una balena, anche a sproposito. La memoria stessa è una balena, un po’ perché come lei si muove, inabissa e fa riemergere ricordi così come nuota una balena; un po’ perché la sede della memoria è una zona del cervello chiamata Ippocampo, e ippocampo vuol dire mostro marino. O meglio Ippo significa cavallo e Campo deriva dal greco chetos, che significa cetaceo, che significa: balena.
LA MEMORIA
è una balena galoppante (o zoppa), è un mostro marino che emerge o s’inabissa. La memoria vive di significati aggregatori di significanti, e la balena aggrega come significato tutti i significanti il cui si può declinare il tema mostro marino. Nulla di strano, succede con altri simboli: non esiste descrizione alcuna del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male ma da millenni lo immaginiamo mela; avete mai sentito Kafka parlare di scarafaggio? Eppure quello è l’insetto che immaginiamo. Provate a pensare al mare, infilate la testa ben sotto, cercate un mostro: eccolo. Buone balene. Qualsiasi cosa voi abbiate visto davvero. E se non avete visto niente… è la balena. Vi ha già inghiottito.