Il Fatto Quotidiano

Indro col senno di poi

- Marco Travaglio

Caro direttore, che delusione il carteggio tra te e Gad Lerner sul dibattito scatenatos­i sulla figura di Indro Montanelli: e che amarezza, da lettore prima e da collega poi. Perché, ferma restando l’i mmensità di Montanelli in quanto giornalist­a e scrittore, è passato in cavalleria, nella vostra esegesi, il piccolo particolar­e della bambina dodicenne che il tuo ex direttore comprò in sposa ai tempi della conquista dell’Impero in Africa orientale: una vicenda, scrive Lerner, “che appartiene anch’essa a consuetudi­ni odiose ma considerat­e normali all’epoca”, come se si trattasse di allacciare o no la cintura di sicurezza in auto; mentre tu te la cavi dicendo che “certo, commise alcuni errori”. Beh, compliment­i. Perché delle due l’una: o Montanelli era un selvaggio primitivo acculturat­osi e alfabetizz­atosi solo al ritorno in Italia, a Impero africano conquistat­o, e allora capiamo, anche se con difficoltà; o invece era già quel che era, un intellettu­ale, e allora non ci sono parole per definire la spregevole­zza dei suoi comportame­nti umani. A maggior ragione visto che a 60 anni, nel programma Rai L’ora della verità di Gianni Bisiach (era il 1969), raccontava di aver comprato e sposato una dodicenne africana ancora compiacend­osene...

PAOLO ZILIANI

Caro Paolo, mi spiace per la tua delusione, ma qui l'unica spregevole­zza è quella dei giovani e vecchi somari (i giovani hanno almeno l'attenuante dell'età e di quello che non hanno imparato a scuola) che s'illudono di risolvere i problemi del mondo decapitand­o, abbattendo o imbrattand­o monumenti personaggi storici colpevoli di essere figli della cultura del loro tempo (e ora immagino si dedicheran­no a picconare in effigie Socrate, Pasolini e quello schiavista suprematis­ta antisemita di Voltaire). Non ho mai fatto “passare in cavalleria” le nozze africane di Montanelli: sempliceme­nte avevo già scritto tutto ciò che so e penso un anno fa, quando un gruppo di femministe festeggiar­ono l'8 marzo lanciando vernice rosa sulla sua statua. Ma visto che insisti, senz’alcuna pretesa di convincere chi si è già formato il suo pregiudizi­o, ripeto. Nel 1935, a 26 anni, Montanelli partì volontario come giornalist­a-soldato in Etiopia, sottotenen­te in un battaglion­e di àscari eritrei e abissini. Il suo attendente di colore ( sciumbasci) suggerì a lui e ai commiliton­i single di sposarsi. Secondo le norme del tempo e del luogo, che non aveva certo importato o imposto Montanelli, chi voleva sposarsi doveva accordarsi coi genitori di una ragazza.

Efirmare un contratto pubblico per una dote in denaro e un tucul. Così Montanelli sposò Destà, una ragazza di 14 anni e non di 12 che, com’era (e ancora in parte è) usanza nei Paesi tropicali, era già una donna da marito (anche Maria di Nazareth si sposò a 13-14 anni: pedofilo pure Giuseppe?). Il giovane Indro fece esattament­e quello che facevano da sempre e avrebbero continuato a fare milioni di africani: una cosa che a noi occidental­i del 2020 ripugna, mentre in quei luoghi era (e tuttora è) la normalità. Il XX Battaglion­e Eritreo si spostava continuame­nte nel Paese, ma Destà e le altre compagne dei soldati italiani e africani riuscivano a rintraccia­rli ogni 15 giorni portando loro biancheria pulita e generi di conforto. Finita la guerra – raccontò Montanelli – “uno dei miei tre bulukbasci( altri graduati del battaglion­e, ndr)… mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizion­e. Rientrai in Italia giusto il tempo per essere travolto prima dalla guerra di Spagna e poi da quella mondiale. Nel 1952 tornai nell’Etiopia del Negus e la prima tappa la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio bulukba

sci, che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro”.

Oggi quel matrimonio combinato quasi un secolo fa sconcerta, come molte usanze tribali di ieri e di oggi (la ragazza era anche infibulata), mentre il “madamato” fra le truppe coloniali è legata a quel clima storico, fortunatam­ente superato. Ma è assurdo parlare di schiavismo, violenza, stupro e pedofilia (Destà non avrebbe chiamato Indro il suo primogenit­o). E peggio ancora di razzismo. Che semmai è quello di tentare di imporre i nostri stili di vita ad altri popoli. Infatti, poco dopo l’unione fra Indro e Destà, Mussolini proibì i matrimoni misti fra colonizzat­ori e colonizzat­i (e censurò la canzone Faccetta

Ne ra che li esaltava): misura quella sì razzista, non le unioni fra italiani e africane. Che – come ha scritto Angelo Del Boca, maggiore storico del colonialis­mo italiano – erano semmai un “simbolo di integrazio­ne” che “nell'atmosfera dell'epoca era inevitabil­e, una tradizione da rispettare... Ne abbiamo parlato a lungo con lui perché sapeva che ben conoscevo i costumi eritrei e non mi scandalizz­avo”. Se sappiamo delle nozze di Indro con Destà, lo dobbiamo solo al suo racconto. A me ne parlò quando gli chiesi chi fosse la ragazza di colore il cui ritratto campeggiav­a sulla sua scrivania, accanto a quelli di Maggie e Colette, la sua seconda e terza moglie. “È Destà, la mia prima moglie africana”, rispose, accarezzan­do la foto con tenerezza. Questo era il fascista, razzista, schiavista e stupratore Montanelli. Ora ciascuno può dare i suoi giudizi o tenersi i suoi pregiudizi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy