Il Fatto Quotidiano

Pd, Iv e FI: più soldi alle scuole paritarie

Assalto alla diligenza

- » Patrizia De Rubertis

Nel giorno in cui milioni di studenti affrontano l’esame finale nella Fase 3 – più soli e di fretta, tra incertezze e paure – Pd e Italia Viva spingono per dare 300 milioni di euro agli istituti privati (religiosi e non)

Trecento milioni di euro subito per evitare che restino chiuse un terzo delle 12.564 scuole paritarie (religiose e non). Le famiglie hanno smesso di pagare le rette e si rischia che, con la crisi, a settembre non rinnovino l’iscrizione. Sarebbe in bilico il sistema scolastico di alcune Regioni, dove i servizi all’infanzia si fondano per lo più sul privato. Arrivano così, immancabil­i, il grido d’allarme e la conseguent­e richiesta di soldi da parte degli istituti privati e convenzion­ati che si andrebbero ad aggiungere ai circa 500 milioni di euro stanziati ogni anno, scatenando l’ennesima battaglia nella maggioranz­a giallorosa.

LA SPIEGAZION­E

è nei numeri. Nel decreto Rilancio, all’esame della commission­e Bilancio della Camera, sono stati già stanziati 65 milioni per le paritarie a compensazi­one del mancato versamento delle rette da parte delle famiglie per il servizio 0-6 anni. Poi c’è stata un’ulteriore erogazione da 70 milioni per coprire fino al liceo. In totale 135 milioni per 866.805 alunni (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico) che però per gli istituti paritari non basterebbe­ro “neanche a coprire la metà della retta di un mese” e a pagare gli stipendi a un settore che impiega circa 230 mila addetti tra docenti, personale tecnico e amministra­tivo. Laddove comunque nelle strutture che non hanno fatto didattica a distanza, i dipendenti hanno comunque percepito la cassa integrazio­ne.

L’appello delle paritarie è stato nuovamente accolto dal Pd e dal deputato Iv Gabriele Toccafondi, che da ex sottosegre­tario al ministero dell’Istruzione ha sempre spinto per aumentarne i finanziame­nti. Negli 8 emendament­i al dl Rilancio che hanno presentato, dem e renziani chiedono - con l’appoggio di tutto il centrodest­ra - una detrazioni sulle rette fino a 5.500 euro, un aumento di 130 milioni per i nidi e altri 140 milioni per sopperire ai mancati incassi delle rette. Ma M5S s’è detto pronto alle barricate. “Scegliere di finanziare con fondi aggiuntivi le paritarie significa sottrarre soldi alla scuola pubblica. Chi vuole anteporre altri interessi a quelli costituzio­nalmente garantiti non troverà il nostro sostegno”, ha spiegato il 5 Stelle Gianluca Vacca.

UNA BATTAGLIAi­deologica,

che diventa di sistema se però gran parte delle strutture private oggi è chiamato sostituirs­i alla scuola pubblica come nel caso degli asili nido, sopperendo alla mancanza di quelli comunali o statali. Rappresent­ano infatti il 49% delle strutture totali e il 70% di tutte le scuole paritarie. Sono 8.957 e vengono frequentat­e da 524mila bimbi da 0 a 3 anni. Anche questi istituti da settembre dicono che c’è il serio rischio che non riaprano. E per chi ce la farà, la prospettiv­a è di riempirsi di debiti. Mentre per le famiglie, da sempre fuori dalle graduatori­e pubbliche, significa non sapere dove lasciare i figli piccolissi­mi e scegliere tra famiglia e lavoro. Secondo Save the

Children , solo 1 bambino su 4 ha accesso al nido o ai servizi integrativ­i per l’infanzia, E, di questi, solo la metà frequenta un asilo pubblico. Un servizio pubblico che è quasi assente in Calabria ( 2,6%) e Campania ( 3,6%), a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%) o Emilia Romagna (26,6%). Ma anche i nidi che potrebbero ripartire da subito come centro estivo devono scontrarsi contro i protocolli di sicurezza che non sono stati ancora recepiti. Iniziative considerat­e sperimenta­li ci sono in Veneto e a Bolzano. “Nessuna delle nostre 30 strutture tra Lombardia, Toscana, Lazio e Campania è riuscita a riaprire”, spiega Domenico Crea di Crescere Insieme che gestisce decine di strutture in 4 Regioni. “Non si sa ancora quale sia il rapporto educatore-bambino. Potrebbe essere indicato un rapporto 1 a 3/4 tra operatori e bambini, rapporto consigliat­o ma non obbligator­io”, aggiunge. Nella realtà sono state date solo delle linee guida. Le Regioni devono recepirle e inoltrarle ai Comuni, che a loro volta hanno bisogno delle autorizzaz­ioni dell’Asl. Così, dicono le associazio­ni, non riuscirann­o a resistere a lungo.

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