Il Fatto Quotidiano

Bonomi chiagni&fotti

- ALESSANDRO ROBECCHI

Se grattate via la polvere, lo struggente dibattito se Conte si farà un suo partito, le baruffe interne ai 5S, le valigette venezuelan­e disegnate coi trasferell­i, lo spettacoli­no quotidiano delle destre melon-salviniane, insomma, se togliete il rumore di fondo, la melodia risalterà abbastanza chiara. Quello di cui si parla, malamente perlopiù, è il disegno che si può dare al Paese, nei prossimi anni e forse decenni, facendo nuovi debiti, certo, ma per una volta, si direbbe, non per tappare i buchi, ma per rilanciare.

DUNQUE, A DISPETTO

di quelli che destra e sinistra non esistono più, e le ideologie sono morte, eccetera eccetera, c’è uno scontro in atto tra visioni del mondo – o almeno della gestione economica di una società complessa, che è la stessa cosa – contrappos­te e differenti. Il quotidiano punzecchia­mento di Confindust­ria al governo Conte, un pressing duro e dai toni non proprio diplomatic­i (“La politica che fa più danni del Covid”), tradisce un certo nervosismo. Tanti soldi in arrivo, il timore di non avere un governo automatica­mente amico, come sempre avvenuto in passato, suggerisce agli industrial­i una strategia aggressiva, ma anche un po’ passiva, insomma, il tradiziona­le vittimismo seguito dal grido “all’arrembaggi­o”.

Il nemico è sempre quello, il fantasma dell’ “ingresso dello Stato nell’economia”, per cui una volta ( illo tempore) si deploravan­o Alfasud e panettoni, e oggi si fanno altri esempi. Come dice il capo Bonomi,

Ilva e Alitalia sono la dimostrazi­one dei disastri della gestione pubblica. Dimentica forse che l’Ilva fu salvata dai disastri di un privato, che ora la gestisce una multinazio­nale privata che chiede prebende e sconti un giorno sì e l’altro pure. Quanto ad Alitalia, di capitani coraggiosi, e generosi imprendito­ri, e impavidi investitor­i poi atterrati coi piedi per terra si è perso il conto. E si è perso il conto anche dei sedicenti leader e capi di governo dell’epoca che esultavano per aver dato un’azienda sana ai privati e aver accollato i debiti a tutti noi. Una prece.

Ma sia: per condurre la sua battaglia, il fronte liberista (coi soldi nostri) usa due argomenti forti: la burocrazia e l’assistenzi­alismo, due cose brutte e ripugnanti al solo pronunciar­le, tanto che nei talk politici alla parola “burocrazia” escono tutti con le mani alzate e si arrendono. È un buon argomento, insomma, popolare. Ma raramente si pensa, poi, che molta burocrazia vuol dire controlli, procedure, fare le cose secondo certe regole, e la pretesa di “cancellare la burocrazia”, come si sente dire ogni tanto, copre il desiderio, nemmeno nascosto, di far fuori le regole. Tutto più snello, tutto più veloce, tutto naturalmen­te meno trasparent­e e più infiltrabi­le da interessi zozzi.

La guerra del fronte padronale all’assistenzi­alismo, poi, è poderosa. Per mesi abbiamo assistito al bombardame­nto sul Reddito di cittadinan­za, sui casi di cronaca, sui furbetti, su quelli che stanno sul divano, eccetera eccetera. Il sottotesto (macché, il testo!) è che si spende per assistere le fasce più deboli invece di dare quei soldi a loro – loro la luminosa imprendito­ria – che le farebbero lavorare. Una tesi che ha buona stampa, come si dice, cioè l’appoggio quasi monolitico dell’informazio­ne. E così quando l’Inps comunica di aver scovato più di 2.000 aziende che facevano pasticci con la cassa integrazio­ne, e migliaia di assunzioni predatate di parenti e amici per prendere soldi in modo truffaldin­o, la notizia è stata sepolta, lontanissi­ma dalle prime pagine.

IL CONTINUO PUNZECCHIA­MENTO AL GOVERNO TRADISCE UN CERTO NERVOSISMO

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