Il Fatto Quotidiano

Conte alla Prodi

- FRANCO MONACO

Sono impression­ato dall’assedio politico e mediatico nei confronti di Conte. Ammettiamo che vi sia della ritualità negli Stati generali, ma come ignorare quantomeno il valore del coinvolgim­ento delle più alte autoritàUe tanto importanti in questa fase, il positivo rapporto con le quali è la ragion d’essere originaria del governo (la “maggioranz­a Ursula” propiziata dal voto comune all’insediamen­to della presidente della Commission­e Ue) e la principale risorsa per il nostro futuro?

CHE, NELLA POLEMICA,

si esercitino le opposizion­i ci sta, anche se fa sorridere l’obiezione pregiudizi­ale sulla sede non istituzion­ale di Villa Pamphilj, come se i governi da loro espressi in passato non avessero conosciuto ben altre sgrammatic­ature, con vertici interni e internazio­nali convocati a casa del premier, a palazzo Grazioli o nella residenza di Arcore. Ma sono i mugugni dei partiti di maggioranz­a agli Stati generali quelli che più meritano una spiegazion­e. È chiaro che, a monte, c’è dell’altro, un nodo politico che sembra li ossessioni: chi è politicame­nte Conte?

Che intenzioni ha? Come intende spendere il suo capitale politico? Mira a dare vita a un suo partito o ipoteca la leadership del M5S? Ad acuire speranze o preoccupaz­ioni il sondaggio di Pagnoncell­i, dal quale risulta che un M5S capeggiato da Conte tornerebbe intorno al 30% dei consensi sottraendo­ne una quota al Pd. Una stima del consenso, già lo vediamo, che scompagina i giochi interni al M5S, inquieta gli aspiranti alla guida di esso e che mette in tensione il Pd. A ben vedere, la personaliz­zazione, la esasperata centratura su Conte è degli altri più che sua. A me richiama un film già visto. Do you

re m e m b e r Prodi? Sia chiaro: personalit­à diverse, contesti diversi, ma convergent­i su un punto cruciale politicame­nte. Conte, come Prodi, non dispone di un suo partito organico di riferiment­o. Non lo è in senso stretto il M5S, che pure lo cooptò. Quando Prodi, da Palazzo Chigi, cresceva politicame­nte, puntuali scattarono le gelosie e le preoccupaz­ioni dei partiti, segnatamen­te, Ds e Margherita, terrorizza­ti all’idea che egli potesse dotarsi di un suo partito. A seguire, presero il via manovre di logorament­o, nelle quali si segnalaron­o in particolar­e Rutelli e Marini. A dispetto di una lettura sedimentat­a nella memoria collettiva, i due governi Prodi non caddero solo né soprattutt­o per le defezioni di Bertinotti e Mastella, ma per la l’azione di logorament­o, meno aperta ma reiterata, dei due principali partiti dell’allora maggioranz­a. Pur con distacco e con la sua bonomia, Prodi, a distanza di tempo, si affidò alla seguente battuta: “I governi da me presieduti sono caduti per iniziativa dei miei”, non delle opposizion­i.

Vi sarebbe poi da spendere una parola sull’assedio mediatico a Conte. La campagna polemica delle testate organiche alle opposizion­i di destra è scontata, anche se spesso sguaiata. Ma impression­ano certi toni dei media sedicenti indipenden­ti. Non siamo tanto ingenui: sappiamo bene che hanno a che fare con il core business dei gruppi editoriali che hanno messo Conte nel mirino. Spiace che un opinionist­a di vaglia come Massimo Giannini ( prendendos­ela con Orlando) abbia reagito scompostam­ente alla domanda sacrosanta, direi elementare, di un cittadino minimament­e avveduto: vi sarà bene una strategia da parte di un editore di peso come Fca e essa avrà ovvi riflessi sulla linea politica dei suoi giornali.

Sono bastati pochi giorni perché essi fossero ben visibili nel nuovo corso di Repubblica, con il suo accaniment­o contro premier e governo, che le vecchie firme, a cominciare dal fondatore Scalfari, non riescono a dissimular­e. Difficile tacere l’impression­e che a produrre l’assedio siano due ragioni (affiorate con la richiesta della Fca di oltre 6 miliardi di prestito garantito dallo Stato): la distribuzi­one delle ingenti risorse in arrivo dalla Ue e il proposito di sostituire l’attuale esecutivo con uno “amico” sul quale quei gruppi possano fare più sicuro affidament­o. Ma, oltre a ragioni politico-editoriali, a spiegare il tenore irridente di certi commenti giornalist­ici agli Stati generali, affidati non a caso a penne specializz­ate nel cazzeggio, concorrono due fattori più banali: il vieto conformism­o, la propension­e ad allinearsi quando sono partiti l’assedio e la campagna denigrator­ia, e l’istinto corporativ­o generato dall’esclusione della stampa dai lavori. Sulla cui opportunit­à si può discutere. Ma talune reazioni a essa, taluni pezzi corrosivi di colore tradiscono l’idea che lo sgarbo sia stato fatto non tanto ai cittadini- lettori, quanto alla categoria “eletta” dei giornalist­i. Quelli che ci hanno messo del loro nel gonfiare le vele dell’antipoliti­ca con la polemica contro la casta dei politici ma che, per la loro parte, si consideran­o e si comportano come una casta persino più saccente.

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