Conte alla Prodi
Sono impressionato dall’assedio politico e mediatico nei confronti di Conte. Ammettiamo che vi sia della ritualità negli Stati generali, ma come ignorare quantomeno il valore del coinvolgimento delle più alte autoritàUe tanto importanti in questa fase, il positivo rapporto con le quali è la ragion d’essere originaria del governo (la “maggioranza Ursula” propiziata dal voto comune all’insediamento della presidente della Commissione Ue) e la principale risorsa per il nostro futuro?
CHE, NELLA POLEMICA,
si esercitino le opposizioni ci sta, anche se fa sorridere l’obiezione pregiudiziale sulla sede non istituzionale di Villa Pamphilj, come se i governi da loro espressi in passato non avessero conosciuto ben altre sgrammaticature, con vertici interni e internazionali convocati a casa del premier, a palazzo Grazioli o nella residenza di Arcore. Ma sono i mugugni dei partiti di maggioranza agli Stati generali quelli che più meritano una spiegazione. È chiaro che, a monte, c’è dell’altro, un nodo politico che sembra li ossessioni: chi è politicamente Conte?
Che intenzioni ha? Come intende spendere il suo capitale politico? Mira a dare vita a un suo partito o ipoteca la leadership del M5S? Ad acuire speranze o preoccupazioni il sondaggio di Pagnoncelli, dal quale risulta che un M5S capeggiato da Conte tornerebbe intorno al 30% dei consensi sottraendone una quota al Pd. Una stima del consenso, già lo vediamo, che scompagina i giochi interni al M5S, inquieta gli aspiranti alla guida di esso e che mette in tensione il Pd. A ben vedere, la personalizzazione, la esasperata centratura su Conte è degli altri più che sua. A me richiama un film già visto. Do you
re m e m b e r Prodi? Sia chiaro: personalità diverse, contesti diversi, ma convergenti su un punto cruciale politicamente. Conte, come Prodi, non dispone di un suo partito organico di riferimento. Non lo è in senso stretto il M5S, che pure lo cooptò. Quando Prodi, da Palazzo Chigi, cresceva politicamente, puntuali scattarono le gelosie e le preoccupazioni dei partiti, segnatamente, Ds e Margherita, terrorizzati all’idea che egli potesse dotarsi di un suo partito. A seguire, presero il via manovre di logoramento, nelle quali si segnalarono in particolare Rutelli e Marini. A dispetto di una lettura sedimentata nella memoria collettiva, i due governi Prodi non caddero solo né soprattutto per le defezioni di Bertinotti e Mastella, ma per la l’azione di logoramento, meno aperta ma reiterata, dei due principali partiti dell’allora maggioranza. Pur con distacco e con la sua bonomia, Prodi, a distanza di tempo, si affidò alla seguente battuta: “I governi da me presieduti sono caduti per iniziativa dei miei”, non delle opposizioni.
Vi sarebbe poi da spendere una parola sull’assedio mediatico a Conte. La campagna polemica delle testate organiche alle opposizioni di destra è scontata, anche se spesso sguaiata. Ma impressionano certi toni dei media sedicenti indipendenti. Non siamo tanto ingenui: sappiamo bene che hanno a che fare con il core business dei gruppi editoriali che hanno messo Conte nel mirino. Spiace che un opinionista di vaglia come Massimo Giannini ( prendendosela con Orlando) abbia reagito scompostamente alla domanda sacrosanta, direi elementare, di un cittadino minimamente avveduto: vi sarà bene una strategia da parte di un editore di peso come Fca e essa avrà ovvi riflessi sulla linea politica dei suoi giornali.
Sono bastati pochi giorni perché essi fossero ben visibili nel nuovo corso di Repubblica, con il suo accanimento contro premier e governo, che le vecchie firme, a cominciare dal fondatore Scalfari, non riescono a dissimulare. Difficile tacere l’impressione che a produrre l’assedio siano due ragioni (affiorate con la richiesta della Fca di oltre 6 miliardi di prestito garantito dallo Stato): la distribuzione delle ingenti risorse in arrivo dalla Ue e il proposito di sostituire l’attuale esecutivo con uno “amico” sul quale quei gruppi possano fare più sicuro affidamento. Ma, oltre a ragioni politico-editoriali, a spiegare il tenore irridente di certi commenti giornalistici agli Stati generali, affidati non a caso a penne specializzate nel cazzeggio, concorrono due fattori più banali: il vieto conformismo, la propensione ad allinearsi quando sono partiti l’assedio e la campagna denigratoria, e l’istinto corporativo generato dall’esclusione della stampa dai lavori. Sulla cui opportunità si può discutere. Ma talune reazioni a essa, taluni pezzi corrosivi di colore tradiscono l’idea che lo sgarbo sia stato fatto non tanto ai cittadini- lettori, quanto alla categoria “eletta” dei giornalisti. Quelli che ci hanno messo del loro nel gonfiare le vele dell’antipolitica con la polemica contro la casta dei politici ma che, per la loro parte, si considerano e si comportano come una casta persino più saccente.