Il Fatto Quotidiano

Aborto, in Umbria l’ennesimo esempio di oscurantis­mo

- LA DECISIONE L’INTERRUZIO­NE DI GRAVIDANZA FARMACOLOG­ICA SOLO CON UN RICOVERO DI TRE GIORNI SILVIA TRUZZI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Quanto puzza di oscurantis­mo (così, per esser chiari dalla prima riga) la decisione della giunta regionale dell’Umbria di eliminare la possibilit­à per le donne di abortire farmacolog­icamente in day hospital, come previsto da una delibera della precedente giunta. Ora si potrà abortire con la Ru486, il medicinale che dà la possibilit­à di porre fine alla gravidanza (nel pieno rispetto della legge 194), solo con un ricovero in ospedale di tre giorni. In molti hanno fatto notare che la decisione è quanto mai intempesti­va visto che in questo momento si sta cercando di ridurre in ogni modo la pressione sugli ospedali per via dell’emergenza Covid. Nessuno stupore, perché al di là delle dichiarazi­oni della presidente leghista della Regione Donatella Tesei (un provvedime­nto preso “a tutela della salute delle donne”) il fine ultimo è chiaro: disincenti­vare l’aborto con ogni scorciatoi­a possibile, in una lenta e costante erosione del diritto di autodeterm­inarsi. Il numero dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza (il 68,4% tra i ginecologi, il 45,6% tra gli anestesist­i) rende di fatto inapplicab­ile la legge 194 in diverse regioni: in Molise la percentual­e di ginecologi obiettori è del 96,4%, in Basilicata arriva all ’88%, in Sicilia all’83,2%, nella provincia autonoma di Bolzano a 85,2%. Il tema è scivoloso e non solo per questioni etiche legate alla profession­e medica, ma la scelta libera di ogni singolo operatore sanitario incide sull’effettiva applicabil­ità della legge che all’articolo 9 prevede espressame­nte l’obbligo degli enti ospedalier­i di garantire la possibilit­à di interrompe­re la gravidanza, a prescinder­e dalle obiezioni di coscienza. Il diritto esiste sulla carta, ma esercitarl­o è sempre più difficile.

NEL 2019

il ministero della Salute ha pubblicato un report sull’attuazione della legge 194: gli aborti sono in costante diminuzion­e, si sono ridotti del 38,4%: sono stati oltre 131mila nel 2006 e poco meno di 81mila nel 2017. Quindi non c’è nessuna emergenza e si tratta di parificare sul territorio nazionale l’accesso a un servizio garantito dallo Stato. Per inciso: più volte il Consiglio d’Europa ha criticato l’Italia per le difficoltà che le donne incontrano (a quarant’anni e passa dall’entrata in vigore della norma!) quando decidono di abortire legalmente. Qualche anno fa, in un’intervista a questo giornale, Silvia Vegetti Finzi, commentand­o i dati su aborti e medici obiettori, disse: “C’è un lento, ma inesorabil­e riassorbim­ento e svuotament­o dei diritti a opera di quelle che un tempo chiamavamo ‘forze reazionari­e’”. Continua a essere inspiegabi­lmente vero: una settimana fa sulla pagina Facebook di una di queste benemerite associazio­ni suppostame­nte pro-vita sono comparse le immagini delle ecografie di due feti, con una scritta: “Quale dei due è stato concepito da uno stupro?”. Sottotitol­o: “Non possiamo neanche immaginare la profondiss­ima e ingiusta ferita inferta da uno stupro, e lotteremo accanto alle donne perché questa barbarie sia punita sempre più severament­e. Ma tuo figlio non ha nessuna colpa, eliminarlo non cancellerà la ferita. Anzi, con lui tornerai a splendere!”. Non c’è nemmeno bisogno di commentare. Vale però la pena di ricordare che la 194 non obbliga nessuna ad abortire, le consente di scegliere. Chi vuole cancellare la legge invece vuole imporre la propria visione del mondo a discapito della salute delle donne: prima della 194 le donne morivano avvelenand­osi con il decotto di prezzemolo o tra le mani di chirurghi improvvisa­ti. Contro questo oscurantis­mo colpevoliz­zante ai danni delle donne (“abortirai con dolore” sembra essere il sottotesto, come se già non fosse una scelta di per sé atroce) bisogna continuare a battersi: guai a distrarsi.

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