Il Fatto Quotidiano

Canton Vicino

- » Marco Travaglio

Basta giochi di correnti e collusioni fra politica e magistratu­ra, le toghe non devono soltanto essere indipenden­ti, ma anche sembrarlo. Detto, fatto. Memore degli alti moniti degli alti colli, il Csm volta pagina dopo lo scandalo Palamara e nomina a capo della Procura di Perugia – competente sui reati dei magistrati di Roma – un uomo che più lontano dalla politica non si può: Raffaele Cantone. Che non è omoni model pm-prezzemolo-multiuso prediletto dal Pd, nominato capo dell’autorità Nazionale Anticorruz­ione da Renzi, che poi accompagnò nella gita-spot alla Casa Bianca con cena chezobama alla vigilia del referendum 2016, con altri testimonia­l come Sorrentino, Benigni e Bebe Vio: è proprio lui. Così ora rappresent­erà l’accusa nel processo a Palamara e gestirà le indagini ancora aperte sullo scandalo Csm che coinvolge gli amici dell’amico Matteo: da Lotti a Ferri, che poco più di un anno fa tramavano con l’uomo nero di Unicost per piazzare fedelissim­i in varie procure-chiave, fra cui proprio Roma e Perugia. Invano Davigo e Di Matteo han fatto notare al Csm l’inopportun­ità della nomina, votando con MI l’aggiunto di Salerno Luca Masini: i giochi erano già fatti, con un’inedita, spettacola­re ammucchiat­a bipartisan pro Cantone di tutti i membri laici (dal Pd alla destra al M5S: wow!) e dei togati progressis­ti (Area), più l’astensione provvidenz­iale di Unicost su Palamara. Che purtroppo non è più al Csm con trojan incorporat­o, sennò sai quante ne avremmo sentite. Del resto bisognava affrettars­i: se la nomina fosse arrivata dopo la riforma del Csm annunciata da Bonafede, Cantone se la sarebbe scordata, visto che i magistrati reduci da incarichi “politici” fuori ruolo dovranno farsi due anni di purgatorio prima di accedere a incarichi direttivi. Invece Cantone, che ha lasciato l’anac a fine anno per riaccomoda­rsi al Massimario, in meno di sei mesi diventa uno dei procurator­i più important id’ italia. Per giunta a occuparsi di toghe indagate proprio per rapporti incestuosi con glia mici dell’innominabi­le che lo avevano minato all’ anac.Unapa lama rata 2.0 senza più Palamara.

Cantone è, naturalmen­te, una persona perbene e un buon magistrato (infatti Palamara&c. li aveva contro), anche se probabilme­nte arrugginit­o nell’arte delle indagini, abbandonat­e nel 2007. Ma è forse il più “politico”, il meno equidistan­te e il più equivicino dei magistrati, dunque il meno adatto a dirigere i pm di Perugia. Negli ultimi 10 anni è stato candidato (senza mai una smentita) a tutte le cariche esistenti sul territorio nazionale, escluse forse quelle a Miss Italia e a presentato­re del Festival di Sanremo.

Nell’ordine: sindaco di Napoli e di Roma, governator­e della Campania, presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro della Giustizia, dell’interno e dei Trasporti (al posto di Lupi), persino presidente del Napoli Calcio e – Mara Maionchi dixit – “giudice di X-factor ”. Poi supercommi­ssario qua e là, consulente, docente, membro di commission­i, task force, patti, tavoli e tavolini. A ogni scandalo targato Pd, da Mafia Capitale a Expo, dal Mose a Bancopoli, si mandava o si evocava San Raffaele come foglia di fico. E lui, uomo per tutti i gusti e le stagioni, non smentiva. Anzi, lasciava dire. Tanto quell’ente inutile che è l’anac è tutto chiacchier­e e distintivo. Sempre dalla parte giusta, Canton Vicino sorvolava sugli appalti senza gara, le corruzioni e le collusioni mafiose di Expo (“Milano è la capitale morale, Roma invece è inquinata”) e persino sui processi per falso a Sala, sulla cui innocenza metteva la mano sul fuoco, mentre denunciava la Raggi per falso. Poi naturalmen­te Sala veniva condannato e la Raggi assolta. Dava una mano a quell’obbrobrio ostrogoto del Codice degli appalti, poi tuonava contro la burocrazia. Esaltava “l’esperienza fondamenta­le e coraggiosa di Antonello Montante e di Confindust­ria Sicilia” che “cacciano gli imprendito­ri collusi con la mafia”, poi Montante finiva dentro per collusione con la mafia.

Consulente del governo Monti, collaborav­a alla legge Severino, ma appena si applicò a De Luca disse che per lui la decadenza dopo la condanna in primo grado non valeva (anche se era già valsa per decine di amministra­tori). E se la presidente dell’antimafia Rosy Bindi inseriva De Luca fra i candidati impresenta­bili in base alle sue imputazion­i, com’era obbligata a fare per legge, lui urlava al “grave passo falso”. Quando il Pd salvava qualche ladrone forzista in Parlamento, lui trovava “doveroso che il Parlamento dissenta dai giudici”, manco fosse il quarto grado di giudizio. Le controrifo­rme della giustizia renziane gli piacevano un sacco (persino il voto di scambio col buco e la boiata sulle ferie togate). Le riforme di Bonafede invece molto meno, perché sì vabbè il trojan, l’anticorruz­ione, il voto di scambio, la bloccapres­crizione, le manette agli evasori, però il problema è sempre “un altro”. Anche la trattativa Stato-mafia – malgrado le sentenze – non lo convince, perché dietro le stragi lui vede “una mano straniera: non ne ho le prove, è una sensazione”. La famosa trattativa mondo-mafia. L’estate scorsa l’innominabi­le passò dal no ai 5Stelle al sì ai 5Stelle e propose un bel governo Cantone. Davigo l’avrebbe querelato. Canton Vicino tacque e lasciò dire. Come sempre. Hai visto mai.

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