Il Fatto Quotidiano

I consigli interessat­i: dalla “velina” Marcegagli­a al referendum di Renzi

- » Salvatore Cannavò

Il grande piano alternativ­o di Confindust­ria si è ridotto all’ennesima lamentela al governo come è avvenuto sempre. Le “lezioni” di Confindust­ria, del resto, si illustrano da sole, basta ripercorre­re le assemblee annuali dell ’associazio­ni dal 2008, anno della grande crisi, in poi.

NEL 2009 ERA amicissimo il governo Berlusconi che si consentiva di definire la presidente Emma Marcegagli­a una “velina”. Gli imprendito­ri si spellavano le mani per applaudire nientemeno che il “coraggioso” Renato Brunetta che battagliav­a contro i fannulloni di Stato. Al governo si spiegava, guarda la fantasia, che “siamo il Paese con la spesa sociale più squilibrat­a a favore delle pensioni” e con Berlusconi era talmente baci e abbracci che alla Marcegagli­a, l’anno dopo, si chiedeva di diventare ministro. Il no di lei inaugurò una fase di freddi rapporti fino al voltafacci­a del 2011. All’assemblea annuale la standing ovation fu solo per Giorgio Napolitano e Mario Draghi e gli imprendito­ri quasi svuotarono la sala mentre parlava l’allora ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani.

ANCHE QUEST’ANNO il grande piano alternativ­o di Confindust­ria si è ridotto all’ennesima lamentela presentata al governo

Le pensioni le taglierà sul serio il duo Monti- Fornero, ben disposto ad ascoltare consigli e suggerimen­ti con risultati che rimarranno indelebili (dal punto di vista del massacro sociale).

La musica cambia poco nel 2012, quando è Giorgio Squinzi a guidare Confindust­ria. Atteggiame­nto più incline al centrosini­stra, ma con in tasca lo stesso spartito: “Ridurre il cuneo fiscale eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile Irap e tagliando di almeno undici punti gli oneri sociali”. E poi “sostegno alla filiera dell’edilizia”, “liquidità alle imprese”, sgravi fiscali. L’interlocut­ore è Enrico Letta, ma dura poco. Per fortuna delle imprese, perché con Matteo Renzi è amore a prima vista: “La nostra disponibil­ità – dirà Squinzi nel 2014 – è immutata e completa”. E così parte la morsa sul sindacato per riformare lo Statuto dei lavoratori, visto che la prima riforma Fornero non era bastata. Tanto che Maurizio Landini, allora segretario della Fiom, inizia a intuire dove si andrà a parare e risponde: “Gli imprendito­ri pensino a investire”.

COSA CHE inve ce hanno sempre fatto poco. Secondo il rapporto della Commission­e Ue, nel 2018 gli investimen­ti delle imprese erano al 10,2% del Pil, “leggerment­e al di sotto del valore del 2008 (10,7). E, proseguiva, “sebbene la spesa per R&S sia in aumento negli ultimi anni, il livello rimane nettamente al di sotto della media dell’ue”.

Più che investire, l’abitudine è stata invece di chiedere soldi allo Stato con una lista monotona: riduzione dell’irap, riduzione del cuneo fiscale, fondi pubblici per gli investimen­ti, sgravi fiscali, taglio allo Stato sociale. I “c o n si g l i ” sono stati sempre questi e i migliori rapporti sono sempre stati con governi inclini alle ragioni d’impresa: Come Renzi: “Giorgio Squinzi rinsalda il feeling degli industrial­i con il governo Renzi e scalda la prepartita con i sindacati” è la sintesi dell’ansa del 2015.

L’anno seguente, il nuovo leader, Vincenzo Boccia, si spinge ancora oltre: “Bisogna portare avanti con coraggio e determinaz­ione un percorso deciso di riforme costituzio­nali, istituzion­ali ed economiche”. Tutto è pronto per giungere al capolavoro dell’ufficio Studi di Confindust­ria che nel 2016 prevede scenari apocalitti­ci – “una nuova, grave emergenza economica”– in caso di vittoria del No al referendum costituzio­nale. L’autore di quel report, Luca Paolazzi, peraltro buon giornalist­a, intervista­to da Antonello Caporale su questo giornale, si è giustifica­to così di fronte al fallimento di quelle previsioni: “A b b ia m o previsto uno scenario che si sarebbe potuto avverare” ma sì, forse è vero “sono stato un tantinello apocalitti­co”. Quasi come Bonomi, verrebbe da dire.

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