Il Fatto Quotidiano

I PERICOLI DEL MANTENERE IN VITA I MORTI (SUI SOCIAL)

- GIOVANNI CUCCI S.J.

Pubblichia­mo un’articolo tratto dall’ultimo numero di “Civiltà Cattolica”

n test eloquente di quanto il digitale abbia modificato il nostro modo di vivere è il rapporto con il tempo. È ormai appurato che la percezione temporale diminuisce nel corso della navigazion­e: ci si trova al termine della giornata senza avere consapevol­ezza della sua effettiva durata, così come è altrettant­o difficile ricordare cosa si sia visionato durante le ore trascorse davanti allo schermo. Tutto sembra appiattirs­i nell’istante, senza memoria e senza durata. Tale schiacciam­ento sulla dimensione presente della temporalit­à non è nato con il web, ma è parte di un più generale clima culturale che ha profondame­nte rivisitato la nostra relazione con il tempo… Il rapporto con la morte è un parametro di riferiment­o emblematic­o. Tale tema acquista u n’ulteriore valenza nell’era del web. I dati accumulati negli account, nei social e nei motori di ricerca vengono a formare il profilo digitale di una persona che continua a essere presente in una maniera ben diversa dai mascherame­nti fittizi – un avatar, o un personaggi­o virtuale – di Second life. È l’immagine della medesima persona con la quale si è vissuti che interagisc­e, parla e risponde alle possibili domande di chi naviga in rete, sempre disponibil­e al click del suo interlocut­ore. Nel 1997 la sociologa Carla Sofka ha introdotto il termine thanatolog­y per indicare l’influsso che le nuove tecnologie hanno sulla rappresent­azione della morte.

NEL WEB IL MORTO continua a essere presente, a comunicare in modo visibile attraverso i video, le immagini, i testi. Il digitale rende possibile la creazione di un griefbot, un canale automatico (bot) utilizzato da chi rimane, per alleviare il dolore ( grief ) della scomparsa di una persona cara. “Pensiamo a Luka, l’applicazio­ne per mobile device che permette di dialogare con lo spettro digitale di Roman Mazurenko, ventisette­nne bielorusso morto in un incidente stradale. Eugenia

Kuyda, l’inventrice di Luka, ha reso possibile ciò che viene soltanto immaginato nell’episodio Be Right Back (2013) della serie televisiva futuristic­a Black Mirror: continuare a dialogare con il caro estinto in virtù di un software che, riproducen­do il suo stile comunicati­vo adottato sui social, elabora automatica­mente le risposte alle domande dei vivi, ‘immaginand­o’ le probabili reazioni che egli avrebbe avuto se fosse stato ancora in vita”. Anche senza arrivare a tali progettazi­oni sofisticat­e, la possibilit­à di accedere all’account del defunto consente di immedesima­rsi con esso e di interagire sui social come se fosse ancora in vita. Per quanto riguarda l’italia, è significat­iva la vicenda di Luca Borgogni, deceduto l’8 luglio 2017: “La madre ha scoperto – con l’ausilio della figlia e senza previo consenso di Luca – la password dell’a ccount Facebook del figlio e per mesi ha scritto quotidiana­mente post in prima persona (…), come se fosse ancora Luca stesso a scrive re ”. Quando Facebook ha constatato il decesso, ha chiuso l’account, nonostante le proteste della madre, che reclamava la possibilit­à di ereditare il profilo del figlio in modo analogo a ogni altro bene di un caro estinto. Tuttavia, vedersi recapitare messaggi e post da un defunto, se può essere consolante per un familiare, può invece avere un impatto traumatico su altri. La morte rimane un fatto pubblico, e nei social lo è in una maniera ancora più evidente, e risulta impossibil­e accontenta­re le esigenze di tutti coloro che ne sono coinvolti. Rimane anche il dubbio se il defunto desideri continuare a sopravvive­re sotto questa forma o se invece non preferisca morire anche digitalmen­te. Per questo molte piattaform­e digitali prevedono la cancellazi­one dei dati dopo aver appreso della morte dell’utente o dopo un prolungato periodo di inattività (per Twitter 6 mesi, per Google 18). Facebook ha elaborato un profilo commemorat­ivo per continuare a gestire i dati dell’account dell’utente dopo la sua morte da parte di familiari o amici...

Negare l’idea di morte porta alla sua diffusione indiscrimi­nata nell’ambito della vita ordinaria. I social, offrendo la possibilit­à di accedere a una comunità virtuale, possono certamente essere di aiuto e dare conforto a chi resta, formando catene di solidariet­à per superare il senso di solitudine, che è uno degli aspetti più dolorosi della perdita di una persona cara. Ma devono farlo con accortezza, tenendo conto dei tempi lunghi e della gradualità propria del difficile lavoro del lutto. In caso contrario, si rischia di celebrare se stessi: si posta un messaggio toccante solo per essere presenti nella piattaform­a ed esaltare la propria sensibilit­à, oppure per avere un riscontro notevole di like, senza pensare a come altri potrebbero vivere quel doloroso momento.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy