Il Fatto Quotidiano

Il generale e l’uranio in Iraq: “Non posso tutelare i soldati”

- » Thomas Mackinson e Alessandro Mantovani

Negli uffici della Procura, e della Procura militare di Roma, c’è un esposto che mette in grave imbarazzo i nostri Stati maggiori. Lo firma un generale dei Corpi speciali dell’esercito, Roberto Vannacci, già comandante dei parà della Folgore, che dal settembre 2017 all’agosto 2018 ha guidato la missione militare italiana in Iraq ed era il numero due della coalizione internazio­nale anti-isis. Ipotizza “gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute e della sicurezza del contingent­e militare italiano, costituito da migliaia di militari impiegati in Iraq e sottoposti, tra l’altro, all’esposizion­e all’uranio impoverito – scrive il generale Vannacci – senza che alcuna informazio­ne fosse fornita al riguardo e senza che alcuna mitigazion­e dei rischi fosse attuata”. Ne abbiamo parlato ieri sera a Sono le Venti , la trasmissio­ne di Peter Gomez sul Nove.

L’alto ufficiale, nell’esposto, ricorda che “l’uso su larga scala di uranio impoverito in Iraq sin dal 1991” – dalle 300 alle 450 tonnellate a seconda delle stime, quantità di circa 30 volte superiore a quella impiegata nel Balcani nel ’94-95 e nel ’99 – era “di pubblico dominio” perché “oggetto di numerose pubblicazi­oni ufficiali” tra cui dal 2011 il progetto Signum (“Studio impatto genotossic­o nelle unità militari”) e riferisce di aver ricevuto documenti incredibil­i, addirittur­a con la classifica di “riservato”, dal generale di divisione aerea Roberto Boi, esponente di alta dirigenza dello staff dell’ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone, allora a capo del Comando operativo interforze (Coi), secondo i quali “non sussisteva­no allo stato indicazion­i e/o informazio­ni che attestasse­ro come certa la presenza di uranio impoverito in Iraq”. E denuncia “pressioni” del comandante del Coi.

Vannacci, che non è stato punito e anzi è stato promosso generale di divisione, spiega che l’ammiraglio Cavo Dragone, oggi capo di Stato maggiore della Marina, non ha detto il vero quando per minimizzar­e i rischi ha riferito alla commission­e parlamenta­re d’inchies ta sull’uranio impoverito (23 febbraio 2017), presieduta da Gian Piero Scanu, che le missioni in Iraq duravano

“tra i 4 e i 6 mesi”.

A VANNACCI risulta invece che “sono pianificat­e in partenza come semestrali e spesso, in corso d’opera, eccedono significat­ivamente tale periodo”. Scrive peraltro di aver rimandato a casa i militari che stavano laggiù da nove mesi. E ancora, documenta di aver ricevuto solo dopo parecchi mesi la nomina a datore di lavoro che lo rendeva responsabi­le, ai sensi del decreto 90/2010, della sicurezza dei militari, il che comporta l’obbligo di redigere il Documento di valutazion­e dei rischi (Dvr), di nominare il medico competente e tutti gli altri adempiment­i di formazione/informazio­ne dei militari, ma per valutare i rischi mancavano dati, analisi, campionatu­re dei luoghi. Spiega che nessun altro comandante in Iraq aveva ricevuto quella nomina e i Dvr presentati alla stessa Commission­e Scanu sarebbero stati elaborati da soggetti privi di titoli oltre che di poteri per attuare la prevenzion­e.

Le Procure deciderann­o se e come procedere. Sul piano politico, siamo ancora una volta alla negazione del problema dopo oltre 150 sentenze che hanno condannato la Difesa a pagare risarcimen­ti e indennità a militari che hanno contratto gravi malattie, per lo più leucemie e linfomi, a causa delle contaminaz­ioni prodotte dall’uranio impoverito, per lo più dovute alle nanopartic­elle metalliche che si sprigionan­o con la combustion­e dei materiali perforati dai proiettili rivestiti con la sostanza in questione. L’osservator­io militare dell’ex maresciall­o Domenico Leggiero conta oltre 7.600 malati e 375 morti.

Il Fattoesono le Ventihanno chiesto agli Stati maggiori di poter intervista­re il generale Vannacci, l’ammiraglio Cavo Dragone e altri ufficiali a conoscenza dei fatti, ricevendo risposte negative motivate con le indagini in corso.

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FOTO ANSA Sul campo Militari italiani durante un pattugliam­ento a Nassiriya in Iraq
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