L’eterno ritorno dell’antisemitismo, dagli “Ebrei di Colonia” alle pandemie di oggi
“Solo che a farmi indignare oggi non è il passato, ma il presente. Allora quasi nessuno pensava che la natura ferina del XIV secolo, nutrita da preti e frati, potesse risvegliarsi di nuovo nel seno del popolo tedesco”. Era il 1897 quando il narratore e giornalista tedesco Wilhelm Jensen (1837-1911) scrisse la prefazione alla ristampa del suo romanzo storico Gli ebrei di Colonia ( Die Juden von Cölln), u n’opera giovanile, pubblicata nel 1869, che era nobilmente votata a narrare e a denunciare gli orrori dell’antisemitismo germanico nel Medioevo. Tanto che il libro fu apprezzato da Theodor
Herzl, il fondatore del sionismo.
Sembravano vicende dei secoli più bui, storie della peste nera, la stessa di Giovanni Boccaccio. Invece, a distanza di tanto tempo, avvertì Jensen nel 1897, quel “feroce ruggito” dell’antisemitismo, l’odio dell’antigiudaismo cattolico, divamparono e risuonarono nuovamente. In Francia era scoppiato il caso di Alfred Dreyfus. In Germania si era svolto a Dresda, nel 1882, il primo congresso mondiale antiebraico, e nel 1885 erano stati espulsi 10 mila ebrei russi che si erano rifugiati in terra tedesca dopo i pogrom zaristi degli anni precedenti. Così la storia che aveva scritto, quasi trent’anni prima, si inverò ancora una volta, diventando bestialmente il presente.