• Ramella Tav, l’avevamo detto
Un quadro devastante, ma non sorprendente per chi abbia approfondito il tema e conosca anche solo a grandi linee la letteratura scientifica di settore: è quello che emerge dalla relazione speciale della Corte dei conti europea sulle infrastrutture di trasporto.
Risale ormai a quasi vent’anni fa il volume di un ricercatore danese, B. Flyvbjerg ( Megaprojects and Risks: an Anatomy of Ambition) che conteneva un’impietosa diagnosi delle “grandi opere” nel mondo. Tutte fanno registrare a consuntivo costi di gran lunga superiori a quelli preventivati e traffici reali inferiori a quelli ipotizzati. Pochissime eccezioni, per lo più autostrade finanziate da privati in media più attenti a investire le risorse. L’analisi condotta dalla Corte dei conti è l’ennesima conferma empirica di quanto illustrato in quello studio che costò all’autore l’interruzione di ogni rapporto col governo del suo Paese.
Citiamo solo pochi passaggi della relazione: “Per la Torino-lione e la Senna-schelda, le previsioni di traffico sono molto più alte rispetto agli attuali livelli”. “Per la galleria di base del Brennero, i tre Stati membri non hanno condotto uno studio e hanno messo in dubbio ognuno le cifre e i metodi dell’altro”. “Le modifiche concernenti la progettazione e la portata intervenute nel tempo hanno sinora comportato incrementi di costo pari a 17,3 miliardi (ossia del 47 %) rispetto alle iniziali stime”. “I futuri dati sul traffico potrebbero essere notevolmente inferiori a dette previsioni di traffico, le quali potrebbero dunque rivelarsi oltremodo ottimistiche”, precisamente come evidenziato nell’analisi costi-benefici del Tav. Si potrebbe proseguire a lungo, ma limitiamoci all’essenziale: “I vantaggi ambientali [ma non solo quelli, nda] dipendono dal volume di traffico effettivamente trasferito da altri modi di trasporto. Visto che il trasferimento modale è stato molto limitato negli ultimi 20 anni, vi è un forte rischio che gli effetti positivi di molte opere siano sovrastimati”. Ad esempio, per la Torino-lione potrebbero occorrere ben 50 anni dall’entrata in servizio dell’opera prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate; nell’analisi del Mit dello scorso anno il danno delle emissioni di cantiere, che avrebbe ulteriormente peggiorato il risultato della valutazione, non venne neppure considerato.
La logica conseguenza di questa sonora bocciatura sarebbe abbandonare i progetti che costano più di quanto rendono. E invece no, avanti tutta. Con un colpo di genio, il rapporto viene titolato: “È necessaria una maggiore velocità di attuazione dei mega progetti”. Il re è nudo, nascondiamolo.