Fede “Dov’è Dio di fronte al virus?” “Sono i dubbi a renderci umani”
AL SIGNOR GIAN CARLO CASELLI: se c'è un cittadino italiano e una persona degna di rispetto io la identifico in Lei. Apprezzo e non da ora il suo equilibrio e la sua obiettività. Perciò mi colpisce la sua affermazione in un articolo sul Fatto di domenica: “In sostanza, una sola certezza: il virus (o vairusdei dotti) è sconosciuto o indecifrabile”. Io ho individuato un’altra certezza, mai toccata da alcuno e basata su due considerazioni: 1) in questi tre mesi gli italiani hanno seviziato e storpiato la loro lingua madre compiendo il più grave dei delitti possibili, per cittadini che si dicono cattolici, un incesto. 2) Nonostante tutte le preghiere, le giaculatorie, le manifestazioni di fede (parolaia, anche del Santo padre), l’invocazione dell’infinita schiera di madonne, madonnuzze, santi, santini, santuzze, padri pii, esposizioni di rosari, gesù cristi, venerati, beati e beoti, non mi risulta che ci sia arrivato il minimo segno della loro esistenza. Eppure guai a ricordarlo. Eppure manteniamo un apparato chiesastico che ci costa ogni anno diversi miliardi sia direttamente che sottobanco. A cosa serve? Non voglio continuare. Ma gradirei una risposta di qualunque segno. Grazie.
CARO IGNAZIO, grazie per la lettera. Le sue opinioni sulle pratiche religiose (esposte in modo anche simpatico) sono certamente personali, cioè in lei ben radicate e motivate. Ma non possiamo farle diventare una “certezza”. Altrimenti chi non la pensa come lei non avrebbe spazi per replicare.
Non è detto che chi pratica un qualsiasi culto lo faccia in attesa che gli “arrivi qualche segno dell’esistenza” divina o qualche miracolo capace di eliminare virus, cataclismi, guerre o miserie. Per molti (quasi tutti?) le preghiere sono modi per prendere coscienza dei propri limiti, per uscire da rancori o violenza, per costruire buone pratiche di vita comunitaria. Tutte realtà fluide, che non reggono il metro rigido della “certezza”. Ecco, caro Ignazio: meno certezze e più opinioni, è la formula che ci fa liberi e ci riconcilia con le nostre diversità (la vera ricchezza che ci rende umani!).
Lei parla di un “apparato chiesastico” (ma attenzione a non ignorare le fedi diverse da quella cattolica) che ha certamente dei costi. Ma esso rappresenta anche – con attività sociali, educative, ricreative e culturali – una straordinaria risorsa capace di generare solidarietà per costruire contesti più giusti e meno diseguali. Quanto al “Santo padre” Francesco, confesso di essere un suo appassionato fan. Soprattutto dopo la preghiera solitaria prima di Pasqua in piazza San Pietro: capace di dimostrare come persino il silenzio (i lunghissimi minuti senza parole, immobile davanti all’ostensorio) abbia la virtù di costringere a pensare e sperare. Anche se non ha eliminato il Coronavirus.