Il Fatto Quotidiano

Sappiamo già tutto

- Marco Travaglio

Arrivano le chat, si salvi chi può! Da quando s’è sparsa la voce (sai che scoop) che Luca Palamara chattava con politici e magistrati anche prima che gli inoculasse­ro il t roj an nell’iphone e ora potrebbe levarsi qualche macigno dalle scarpe, s’è creata una spasmodica quanto ridicola suspense: chissà mai cosa verrà fuori, ce ne sarà per tutti, mamma mia che impression­e. Per i cortigiani di Arcore le chat trasformer­anno i reati di B. in virtù cardinali e il Caimano in un martire perseguita­to: certo, come no. Ma, qualunque cosa esca non sarà mai peggio di ciò che già si sa e si finge di dimenticar­e: le pagine più nere dell’anm e del Csm sono state scritte alla luce del sole, anche se nessuno (a parte noi e pochi intimi) ha osato raccontarl­e. E non le ha scritte Palamara da solo: spesso agiva sotto dettatura del Colle, con Napolitano e pure con Mattarella. Per punire i magistrati scomodi e promuovere quelli comodi, si appoggiava sulle altre correnti (Area o MI o entrambe) e sui laici di tutti i partiti, a partire dai vicepresid­enti Mancino, Vietti, Legnini, Ermini (tutti targati Pd).

Non c’è bisogno di chat per sapere che, quando De Magistris osò toccare i santuari politico-affaristic­o-massonici di Calabria e Basilicata, fu spazzato via prima dai suoi capi e poi dal Csm (tutto) insieme ai pm salernitan­i Apicella, Nuzzi e Verasani, che stavano scoprendo le sue ragioni, con la benedizion­e apostolica di Napolitano. Il quale benedisse pure le prime azioni disciplina­ri contro Woodcock, pm che da Potenza a Napoli rompeva le palle al Pd, a B. (per la corruzione dei senatori) e alla Lega (per i 49 milioni rubati). Quando invece tentarono di fargliela pagare per lo scandalo Consip del Gigliomagi­co renziano, c’era già Mattarella. Non c’è bisogno di chat neppure per scoprire cosa accadde ad Alfredo Robledo, procurator­e aggiunto a Milano, scippato del fascicolo su Expo2015 dal suo capo Edmondo Bruti Liberati contro ogni regola interna: il Csm diede ragione a chi aveva torto e punì e cacciò chi aveva ragione su preciso ordine dello staff di Napolitano, con lettera su carta intestata. Altre tracce scritte e telefonich­e lasciò Re Giorgio nella sua guerra senza quartiere ai pm palermitan­i che indagavano sulla Trattativa, da Ingroia a Di Matteo amessineo: il Csm, non solo Palamara, obbedì. Secondo voi, perché il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, pur essendo il più titolato, non è diventato procurator­e nazionale Antimafia? Perché anche lui indaga da vent’anni sulle trattative e i sistemi criminali retrostant­i le stragi del 1992-’94. Due anni fa era in pole position, ma gli fu preferito Federico Cafiero De Raho, che invece era il più titolato per la Procura di Napoli.

Ma dovette fare spazio a Gianni Melillo, ex capogabine­tto di Orlando, e poi fu “risarcito” con la Dna. Da anni il Csm premia chi ha avuto incarichi politici, come se la vicinanza a partiti e governi fosse un pregio, non un handicap. È appena riaccaduto per Cantone, ex capo Anac per grazia renziana ricevuta, a Perugia. E Palamara non c’era.

Poi c’è il capolavoro sulla Procura di Roma dopo il pensioname­nto di Giuseppe Pignatone: ben due Csm presieduti damattarel­la e vicepresie­duti dagli appositi Legnini ed Ermini, più maggioranz­e laiche e togate, si sono mobilitati per sbarrare la strada a due magistrati (Marcello Viola e Giuseppe Creazzo, Pg e procurator­e di Firenze) che minacciava­no discontinu­ità nel vecchio porto delle nebbie, e per consentire a Pignatone di scegliersi l’erede. Un anno fa, siccome in commission­e Viola aveva battuto il pignatonia­no Franco Lo Voi (procurator­e di Palermo), il Colle profittò delle intercetta­zioni di Palamara&c. (in cui la voce di Viola non compariva mai) per far rigiocare la partita nel nuovo Csm su una nuova rosa di nomi. Così vinse il pignatonia­no Prestipino, contro la cui nomina Viola e Creazzo ora ricorrono al Tar (sono due capi, più titolati e anziani dell’aggiunto Prestipino). Fu il replay di quant’era accaduto nel 2014 per Palermo: lì correvano due procurator­i capi (Guido Lo Forte e Sergio Lari) e il solito Lo Voi, che non aveva mai diretto nulla, era più giovane e per giunta era stato nominato da B. a Eurojust. In commission­e vinse Lo Forte, ma alla vigilia del Plenum arrivò il diktat di Napolitano, che bloccò la votazione, inventando­si un “criterio cronologic­o” mai visto prima. Anziché difendere le proprie regole, il Csm si piegò fantozzian­amente all’ukase quirinaliz­io e rinviò il voto fino a scadere. Il nuovo Csm capì l’antifona e premiò il candidato meno meritevole, dipinto come Er Più da una tragicomic­a relazione della forzista Casellati. Lo Forte e Lari ricorsero al Tar del Lazio, che annullò la nomina di Lo Voi: “illegittim­a”, “illogica”, “ir ra zi on al e”, “a po di tt ic a” per “eccesso di potere”. Ma il Consiglio di Stato ribaltò il verdetto con una sentenza-supercazzo­la che spacciava per un titolo di merito (“le diverse esperienze maturate, anche in ambito internazio­nale”) l’euroincari­co burocratic­o gentilment­e offerto da B. Il presidente era Riccardo Virgilio e l’estensore Nicola Russo, poi indagati per corruzione giudiziari­a con l’avvocato- depis tatore dell’eni Piero Amara: lo stesso del caso Palamara. Una storia più nera di qualunque chat che però nessuno, a parte noi, ha mai raccontato. Diceva Leo Longanesi: “Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderem­o più”.

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