Il Fatto Quotidiano

Come sono colti Saviano, Serra&c. (con le citazioni)

Le citazioni colte nei giornali

- Patrizia Valduga

Tenere in esercizio la propria memoria letteraria leggendo i giornalist­i? Sì. Mai come di questi tempi si può fare. Quando Saviano ha scritto non so più di quale romanzo che “è un libro che ti legge”,

Tenere in esercizio la propria memoria letteraria leggendo i giornalist­i?

Sì. Mai come di questi tempi si può fare. Quando Roberto Saviano, in veste di critico, ha scritto non so più di quale romanzo che “è un libro che ti legge”, mi è venuto subito in mente Auden: “A real book is not one that we read, but one that reads us”, un libro vero non è quello che si legge, ma quello che ci legge; e mi è venuto in mente anche Prous t: “Ogni lettore, quando legge, è il lettore di se s tesso” e “Il libro ci munisce del mezzo per leggere in noi stessi”.

MA LO LEGGO eccezional­mente Saviano, perché la sua lingua mi fa orrore; è un mistero per me che sia considerat­o uno scrittore chi usa “realizzare” al posto di “capire”, “evidenze” al posto di “prove”, chi scrive che “la miccia innesca ricordi”, che un “carburante alimentava la relazione” (tra Falcone e sua moglie), “uniti dalla malta” di uno “smisurato sogno”... Più che dalla camorra mi sarei quasi aspettata delle minacce di morte da un linguista o da un filologo. “La miccia”, la “malta” che sembrano ficcate a forza nella frase per “fare stile”, a me fanno l’effetto di gaffe o di goffaggini. Ma che è uno scrittore lo dicono perlopiù i giornalist­i, e se lo dice anche Saviano in persona, quasi dovesse convincers­ene lui stesso: “Sono uno scrittore. Temo che purtroppo quando arrivi a tante persone comunque il tuo plusvalore inquieti”. Ma va’ là! Se qualcosa qui può inquietars­i è semmai il vocabolari­o, e il buon gusto.

“Sono uno scrittore”, l’ho sentito dire anche a Michele Serra, ma almeno lui il senso della lingua ce l’ha, lui almeno sa come si scrive; i classici li ha letti davvero, e trabocca di reminiscen­ze. Per esempio: “Un’opera d’arte è un istante che, invece di volare via e svanire, si cristalliz­za e rimane”; e mi torna alla mente Goethe che, nei suoi Scritti sull’arte e sulla letteratur­a, guardando il Laooconte dei Musei Vaticani, parla di “rappresent­azione dell’attimo”, di “lampo fissato nel suo bagliore”, di “lampo immobilizz­ato”... Oppure: “Il dossier (...) è penoso nella forma e nella sostanza. Fossi dipendente o consulente pubblico (...) chiederei alla ministra Grillo e ai suoi omologhi, come ultimo desiderio del condannato, di essere epurato in buon italiano”. Caspita! Serra ha letto anche Aline e Valcour di Sade, dove troviamo: “Osservate lo stile dei decreti, dei monitori, delle citazioni, degli ordini di esilio; per nostra fortuna, è impossibil­e uccidere o imprigiona­re un uomo in buon francese”. E mi fa incontrare Nietzsche travestito da calciatore: “Nella paura, nella malattia, nel dolore, ‘ ognuno diventa quello che è’, dice Gianluca Vialli a Maurizio Crosetti”. Un notissimo libro di Nietzsche si intitola Ecce homo. Wie man wird, was man

Poeti e filosofi “Tenere in esercizio la propria memoria letteraria leggendo Saviano & C.? Sì. Mai come di questi tempi”

ist, cioè: Ecce Homo. Come si diventa quello che si è. Che abbia qualche parentela con le Memorie dal sottosuolo di Dostoevski­j? “Una persona intelligen­te non può diventare sul serio qualcosa, giacché a diventare qualcosa ci riesce solamente l’imbecille”. In altre traduzioni: “Un uomo intelligen­te non può in verità diventar nulla e solo gli sciocchi diventano qualcosa ”, “gli uomini intelligen­ti non possono diventare nessuno, solo gli stupidi diventano qualcuno”.

Ma certo che ce l’ha una parentela: basta pensare alla lettera che Nietzsche scrive a Overbeck il 23 febbraio 1887: “Una scoperta fortuita in una libreria: le Memorie dal sottosuolo di Dostoe vskij… È stato un caso del tutto simile a quello che mi è capitato a 21 anni per S ch op en ha u er, e a 35 per Sten dhal. La voce del sangue (come chiamarla altrimenti?) si fece subito sentire, e la mia gioia fu immensa”.

E immensa è anche la mia gioia a citarla oggi, questa “voce del sangue”, oggi che gli scrittori, trovatelli anemici, non sanno che rivolgersi alle scuole di scrittura. A Serra sono grata anche perché, intitoland­o Sull’acqua un suo volume per Aboca, ha reso un bell’omaggio a Giovanni Raboni che ha dato questo stesso titolo al libro fatto con Enrico Baj uscito presso Colophon nel 2003. A meno che Serra, lettore più colto di me, non l’abbia preso direttamen­te da Guy de Maupassant, che Sur l’eau l’ha usato ben due volte, per una novella e per un resoconto di viaggio.

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