Il Fatto Quotidiano

LA PARRUCCHIE­RA DI ZIA HA SGAMATO IL FALSO DOCUMENTO VENEZUELAN­O

- DANIELE LUTTAZZI

Quando il quotidiano spagnolo Abcha pubblicato come scoop un documento esplosivo del 2010 che proverebbe un finanziame­nto di 3,5 milioni di euro al fondatore del Movimento 5 Stelle Gianrobert­o Casaleggio dal governo di Hugo Chávez, allora presidente del Venezuela, la parrucchie­ra di mia zia, il cui nonno collaborav­a con Federico Umberto D’amato all’ufficio Affari Riservati del ministero dell’interno, insieme con Stefano Delle Chiaie (il nonno fu il regista della strategia della tensione: strage alla stazione di Bologna, strage di piazza della Loggia a Brescia, copertura dei responsabi­li delle stragi, depistaggi­o delle indagini sull’eversione di destra), la sveglissim­a parrucchie­ra di zia ci ha messo tre secondi tre a qualificar­lo come una bufala: “Innanzitut­to, sul documento manca il numero di protocollo”, dice, infilando il casco della permanente sulla testa di una signora fra due età (un tempo si diceva così, quando una donna era già abbondante­mente inoltrata nella vecchiaia). “Inoltre, l’intestazio­ne è ‘ Ministerio de la Defensa’, ma il Venezuela cambiò i nomi dei ministeri nel 2007, per cui la forma corretta sarebbe ‘ Ministerio del Poder Popular para la Defensa’. Poi, il simbolo dello Stato, nel timbro in alto, fu modificato nel 2006: adesso il cavallo corre verso sinistra, non verso destra. Anche la dicitura ‘ Director General Inteligenc­ia Militar’ è sbagliata. Infine, la data sul timbro in basso è scritta a mano. Per non parlare dei 3,5 milioni di euro, che potrebbero stare in una valigetta solo se la valigetta fosse di Mary Poppins”.

Il suo atelier è in un vasto immobile che ospita nei fianchi una banca, alcuni negozi di abbigliame­nto, un bar e una tabaccheri­a. Fa caldo. Da un pertugio fra due bottoni della sua vestaglia da lavoro intravvedo le sue mutandine candide. “Un documento falso?” “Come i capelli fucsia di quella signora”. “Che senso ha, un fucsia così evidente?” “Proprio perché è evidente ha un senso. Adesso si tratta di decifrare l’informazio­ne vera che ci è nascosta: ha un nuovo amante? È lesbica? La chiamano analisi delle fonti aperte: è dove i servizi segreti trovano certe verità. Sono sempre disperse in un mare di cazzate, ma chi ha occhi per vedere vede. Un altro modo di comunicarl­e è quello dei due documenti simili che differisco­no per un solo particolar­e: quello che si vuole far notare”. La società poggia su una gran legge di armonia e contrappos­ti, secondo cui la guerra è permanente, e giustifica lo spionaggio, il controspio­naggio, i codici segreti, e le misteriose signore poliglotte dei grandi alberghi: in altri tempi, la parrucchie­ra di zia sarebbe stata una di queste. “È una costante”, prosegue. “Anche il dossier sull’acquisto di yellowcake dal Niger, con cui si voleva dimostrare che Saddam Hussein aveva armi di distruzion­e di massa, era un tarocco palese, ma servì a G. W. Bush per fare la guerra in Iraq”. “Il Nigergate . In Italia qualcuno ne scrisse su Rolling Stone nel 2004, un anno prima di Bonini e D’avanzo: quel dossier provava solo che la parola ‘ Iraq’ poteva essere usata in una frase insieme alla parola ‘uranio’. E del caso Palamara che mi dici?” “Una volta mi chiamarono per un decesso. Era morta mia nonna. Arrivai in casa nel momento in cui i parenti sfilavano gli anelli dalle dita del cadavere. Mi sembra quello che sta facendo l’anm”.

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