SALVATAGGI E TAGLIO DELL’IVA
“Merkel riscopre lo Stato”
Il whatever it takesdi Draghi è una lezione che a Berlino è rimasta scolpita nella memoria ed è con quello spirito che ha agito per affrontare la crisi economica generata in Germania dal Covid-19. Sono state messe in campo risorse “senza precedenti” nella storia della Repubblica federale, ha ricordato il ministro delle Finanze Scholz. Ma non è l’unico intervento, né forse il più significativo: “Riscoprire la politica industriale è la lezione principale di questa crisi in Germania”, sostiene Rainer Kattel, vicedirettore dell’iipp ( Institute for innovation and public purpose) dell’ucl di Londra, in un colloquio digitale con il Fatto.
“LA GERMANIA HA GESTITO bene la crisi sanitaria se pensiamo al numero dei morti paragonati a quelli dell’inghilterra. Ma soprattutto è impressionante come ha reagito dal punto di vista economico”. Il 25 marzo, a lockdown appena iniziato, il Bundestag ha votato un pacchetto “di salvataggio” da 750 miliardi di euro a sostegno di grandi, medie e piccole imprese, tra finanziamenti e garanzie. Le aziende piccolissime e gli autonomi hanno ricevuto un sostegno immediato tra i 5.000 e i 15.000 euro. Il 3 giugno a quel pacchetto se ne è aggiunto un altro da 130 miliardi per stimolare la ripresa economica, con un taglio dell’iva di tre punti (dal 19 al 16%) e un bonus una tantum di 300 euro a bambino. “La Grosse Koalition si è accordata su un piano molto ambizioso sia in termini di spesa, sia di componenti di breve periodo, come l ’ a b b a s s am e n t o dell’iva. Ma soprattutto quella del governo tedesco è una manovra orientata al futuro con investimenti in tecnologia e nell’economia green . Rispetto all’intervento durante la crisi di dieci anni fa, quando il governo diede una risposta molto convenzionale, ha agito in modo diverso”.
Per Kattel c’è stato un nuovo impulso nella politica economica. “Il primo passaggio verso una politica industriale è stato fatto già prima della crisi, con il documento del 2019 del ministro dell’economia Altmaier, che prevedeva una strategia dello Stato nella politica industriale. La crisi ha accelerato il cambiamento. Poi c’è un altro elemento: ora ci sono un certo numero di economisti non ortodossi con più influenza che in passato – come Jens Suedekum e Peter Bofinger – che spingono per un ruolo più attivo dello
Stato, da sempre presente in Germania. Ora la crisi ha portato un nuovo consenso”.
Chiediamo al professore se il cambiamento nell’approccio tedesco ha avuto ricadute in Europa. “La proposta Merkel-macron è stata molto importante per sostenere il piano della Commissione europea. E l’alternativa sarebbe stata molto dura per Paesi come l'italia o la Spagna che contano tanto sul turismo per il Pil. Il turismo non tornerà ai livelli precedenti per anni e questo è molto doloroso, così penso che Macron e Merkel meritino molto credito per il supporto e il traino della Commissione in questo passaggio”. La Germania, a partire dal 20 marzo, ha violato il pareggio di bilancio, ammesso dalla Costituzione in casi d’eccezione, facendo una parte di investimenti in deficit. È caduto un altro tabù? “Il punto è quanto a lungo rimarrà in sospeso. Al momento non c’era altro modo perché dovevano spendere denaro. In Germania i l sistema del Kur za rb ei t ( equivalente della cassa integrazione) si è rivelato un buono schema contro l’esplosione della disocc upazione ma se il consenso sulla politica di bilancio è davvero cambiato lo vedremo il prossimo anno. Ho i miei dubbi”. Secondo Kattel il rigorismo è “solo in pausa”. Piuttosto c’è un passaggio importante verso una politica industriale.
È UN KEYNESIANISMO del momento, ma “non una scelta ideologica: tutti i Paesi stanno facendo la stessa cosa spendendo soldi. Riscoprire la politica industriale è la lezione principale di questa crisi in Germania”. La partecipazione dello Stato tedesco in Lufthansa “non è l’unico caso”, a detta del vicepresidente dell’iipp. “Lo Stato sta prendendo quote di diverse aziende e in Germania è una cosa giusta da fare piuttosto che estendere i crediti, che poi devono essere ripagati. È una buona idea, ma bisogna anche pensare alle condizionalità. Se si partecipa come investitori si deve avere una visione sul perché si investe. Certo, è un altro esempio di riscoperta della politica industriale, di uno Stato più attivo, di un modo di pensare cosa si vuole dall’economia, piuttosto che lasciare al settore privato queste decisioni”.