Pochi cantieri e la Open Fiber vuole fermarli
Ritardi già acquisiti di tre anni e ora le ispezioni scoprono lavori fermi o non conformi e la società chiede di sospenderne il 75%
Ieri vi abbiamo raccontato dei ritardi nella realizzazione del piano per portare la Banda ultra- larga ( BUL) negli oltre 7mila Comuni italiani considerati “a fallimento di mer cato”, cioè dove i privati non investirebbero perché non conviene: tre anni di ritardi su tre anni di lavori previsti (20182020) nel cronoprogramma che Open Fiber – la società di Enel e Cdp che ha vinto tutti e tre i bandi – aveva presentato al soggetto attuatore pubblico Infratel, ente in house del ministero dello Sviluppo.
Ieri, però, alla riunione del Comitato governativo sulla BUL i ministri competenti – a partire da quella dell’innovazione Paola Pisano, che lo presiede – hanno capito che la situazione è peggiore del previsto: le prime ispezioni nei cantieri fatte da Infratel hanno dato pessimi risultati e la stessa Open Fiber ha chiesto la sospensione di circa 1.500 progetti sui 2076 in esecuzione.
ANDIAMO CON ORDINE. Qu est’anno, secondo il suo stesso piano, Open Fiber avrebbe dovuto procedere al ritmo di 77-78 cantieri al mese messi a disposizione degli operatori di mercato: al momento la media dell’anno è inferiore a venti e quella di gennaio e febbraio - quando non c’era neanche la scusa del coronavirus – era di 24. Difficile anche arrivare ai 649 cantieri completati promessi nel 2020 se a metà giugno i collaudi totali portati a casa erano 85, 84 dei quali peraltro finiti non con esito positivo, ma con “prescrizioni”. Di questo passo il piano rinnovato presentato in queste settimane al governo dall’azienda rischia di essere scritto sull’acqua.
E dire che il nuovo cronoprogramma già incorpora i ritardi dichiarati a fine 2019: quello inizialmente proposto da Open Fiber – e accettato da Infratel - prevedeva la fine dei lavori in 36 mesi, quindi per la maggior parte dei Comuni entro il 2020 o l’inizio del 2021, mentre secondo il nuovo calendario consegnato dalla stessa società di Enel e Cdp l’86,5% dei Comuni sarà terminato tra il 2021 e il 2023, anno in cui dovrebbero essere ultimati i lavoro nelle ultime
810 cittadine ( il 15,8% dei cantieri programmati ad oggi). Questo peraltro, come Il Fatto ha già scritto, crea un problema coi fondi europei dedicati al progetto: quei soldi, infatti, sono inseriti nella programmazione 2014-2020 e vanno rendicontati al massimo entro il 2022.
Solo che il governo è ora convinto che delle promesse di Open Fiber non ci si possa fidare: il COBUL ha chiesto alla società una copia del nuovo piano industriale e a Infratel un’analisi del contratto di concessione (forse per capire se e come è possibile rivalersi per i ritardi: finora ad Open Fiber è stata applicata solo una penale da meno di un milione di euro). Una scelta quasi necessaria dopo l’annuncio fatto ieri da Infratel: i mille problemi riscontrati sui cantieri (da ultimi quelli su progettazione e ditte per le operazioni di scavo) hanno spinto il concessionario a chiedere la sospensione temporanea di circa 1.500 cantieri sui 2.076 totali cosiddetti “in esecuzione”.
Non va meglio con le ispezioni sui cantieri appena avviate da Infratel. Ne risultano ultimate venti tra Abruzzo, Campania, Lazio e Sicilia: ebbene in 5 casi (25%) lo stato di avanzamento dei lavori è “zero”, in altri 8 casi (40%) sono state rilevate “non conformità gravi”, la luce verde senza prescrizioni di sorta è arrivata per soli sei cantieri (30%). Tra le altre cose, gli incaricati segnalano spesso la carenza di personale sul luogo dei lavori.
SE QUESTI DATI venissero confermati su più larga scala, insomma, anche i programmi comunicati all’esecutivo da Open Fiber – che ha subappaltato la realizzazione delle opere a oltre 90 imprese – andrebbero trattati con le molle. Se non è così certo che la società sia in grado di rispettare i suoi programmi, va detto che fino a poco tempo fa nessuno la controllava: Infratel ha assegnato l’incarico per le “verifiche in corso d’opera” solo il 26 maggio.
Open Fiber, insomma, rischia di non avere solo il problema Beppe Grillo, che s’è improvvisamente e pubblicamente schierato con Tim nella querelle sulla rete unica, ma pure quello di un pezzo del Pd: in questi mesi i ministri del Sud e degli Affari Regionali, Peppe Provenzano e Francesco Boccia, sono stati i più duri nel Comitato sulla BUL con la società di Enel e Cdp.
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