“Metoo al bivio, ma non si può credere a tutte”
Ha un tono di voce quasi sommesso, per quanto è calmo, “ma poi tira fuori la pistola e te la punta in faccia”. È Susan Faludi – giornalista Premio Pulitzer, tra le voci più originali e acute del femminismo contemporaneo – nelle parole di suo padre, o meglio di quello che era suo padre, visto che ora è diventato Stefánie, dopo un intervento di riassegnazione chirurgica del sesso a 76 anni. Una storia a cui l’autrice ha dedicatonella camera
oscura , un viaggio a ritroso nella sua infanzia. E nelle ragioni profonde che l’han portata al femminismo, dice lei. E ad accendere proprio l’ultimo dibattito attorno al Metoo è stato un suo articolo, apparso di recente sul New York Ti
mes il giorno dopo il pezzo con cui Ben Smith ha demolito le inchieste di Ronan Farrrow su Weinstein.
Nei suoi scritti, lei spesso parla di quella nuova mascolinità alla John Wayne che, nel post 11 Settembre, si era affermata in risposta all’attacco. Quel ritorno nell’immaginario di una famiglia anni 50, con tanto di femminilità riaddomesticata. Possiamo incorrere nello stesso rischio ora col Covid? È troppo presto per dirlo. Negli Stati Uniti la risposta all’11 settembre è stata molto complessa. L’attentato fece riaffiorare tutti gli impulsi relativi ai ruoli di genere che stavano alla base della nazione. Nella narrazione rassicurante proposta da politica e media, gli uomini erano supereroi da fumetti, le donne, apprensive security moms.
Un intero Paese ha creduto a questa replica western anni 50, con conseguenze terribili che vediamo ancora oggi. Penso alle sciagurate decisioni di politica estera – dalla guerra in Iraq al waterboarding – espressioni dirette di quel machismo post 11 Settembre.
La pandemia potrà portare a un nuovo “contrattacco” ai diritti delle donne?
Col lockdown si sono impennati i casi di violenza domestica. I posti di lavoro maggiormente a rischio sono quelli nei settori che più interessano le donne. E sempre le donne sono in prima fila a casa, dove si stanno assumendo un carico immenso tra cura dei figli e lavoro domestico. Sono loro a sopportare il peso maggiore della pandemia, con effetti dal punto di vista sociale e psicologico devastanti.
Ha vinto il Pulitzer nel 1991 conbacklash. In italiano lo tradurremmo “contrattacco”: la guerra che, pur se non dichiarata, viene fatta alle donne. Da allora cosa è cambiato?
Negli anni 80 il contrattacco ai diritti delle donne era molto più subdolo, sottotraccia. Arma fondamentale era la diffusione della leggenda secondo cui le donne sarebbero state infelici perché a trent’anni avevano più probabilità di morire in un attentato che di sposarsi. Era il femminismo ad averle rese orfane d’amore e senza matrimonio, figli, e salute mentale. Nell’era di Trump, invece, l’offensiva è sotto gli occhi di tutti: è lui stesso a incarnarla.
A che livello siamo di contrattacco, quindi?
Difficile immaginarne uno più forte di Trump. Colpisce e umilia qualsiasi donna osi criticarlo. Denigra l’agenda politica delle donne. Pezzo per pezzo ha smontato i capisaldi del diritto americano sull’uguaglianza di genere e sulle libertà delle donne: aborto, controllo delle nascite, gender gap, tutele contro le violenze domestiche, pene per i reati sessuali. Tutto questo ha avuto però il merito di riaccendere il femminismo americano. Dalla Marcia delle Donne nel 2016 awashington al numero di esponenti femminili che si candidano, al movimento #Metoo. C’è da chiedersi se questo fervore femminista saprà sopravvivere alla pandemia.
A proposito del Metoo, lei ha scritto un articolo sul
NYT che ha fatto molto discutere. Una riflessione a partire da Tara Reade, la donna che sarebbe stata insidiata dal candidato democratico Joe Biden... È la destra americana a sostenere che, avendo il Metoo fatto proprio lo slogan #Believeallwomen , “credere a tutte le donne”, le femministe sarebbero “ipocrite” perché “predicano, ma poi non lo fanno”, visto che non pensano in automatico che Tara Reade dica la verità su Biden. In realtà, il #Believeallwo
menè una creazione dei conservatori: una trappola per le femministe da cancelletto di Twitter. “Credete alle donne” non significa “a
tutte le donne”. Questo non è un hashtag del #Metoo. Il pericolo, come ho scritto, sta nella purezza, nell’intransigenza.
Ovvero?
Difendere “senza se e senza ma” anche una sola donna non sincera, per il #Metoo è più pericoloso che un esercito di predatori sessuali. Questo movimento ha portato cambiamenti necessari, e attesi. Moltissime donne che hanno sofferto troppo a lungo in silenzio si sono fatte avanti, e sono state finalmente considerate dai media, dalla giustizia. Così come tante mele marce sono state cacciate dalle stanze del potere. È importante, però, per il futuro del movimento che, di fronte ad accuse di violenze sessuali, non ci siano condanne per partito preso: non tutti gli uomini sono stupratori e non tutte le donne sono la bocca della verità.
Soddisfatte, quindi?
Non abbatteremo il patriarcato togliendo di mezzo i maschi uno per uno. Non possiamo focalizzarci solo sulla violenza. Va allargato lo sguardo a tutti gli elementi strutturali su cui il dominio maschile si regge: su questo, si gioca la sopravvivenza stessa del Metoo.
Le storie che riguardano le donne – lei ha detto spesso – sono distorte. Dipende dai media dominati dagli uomini?
Troppo semplice pensare che il problema siano i media. Sono la cultura, la politica, la società stessa che alimentano gli stereotipi di genere. E questi non dipendono solo dagli uomini: pensiamo alle riviste femminili, dirette da donne, e ai messaggi distruttivi agitati per anni.
Come si può raccontare oggi il femminile?
Le storie che ci renderanno libere sono quelle che abbandoneranno stereotipi e ritratti semplicistici. Quelle che senza demonizzazioni racconteranno le donne – e gli uomini – in tutte le loro sfaccettature, la loro complessità. E, quindi, in tutta la nostra umanità.
‘‘ Il Covid-19 un nuovo 11.09? Non è detto, ma forte sarà l’attacco ai nostri diritti