Il Fatto Quotidiano

No, vanno aboliti

- Marco Travaglio

Caro procurator­e, concordo sulla diagnosi, ma dissento sulla cura. E, per spiegarmi meglio, le suggerisco il prezioso libriccino di Antonio Padel

laro pubblicato da Paperfirst: La strage e il miracolo. 23 gennaio 1994: la mafia all’o li mp ic o.

Racconta quella domenica di 26 anni e mezzo fa, quando Antonio andò con i figli a vedere Roma-udinese e tornò a casa ignaro di essere sopravviss­uto alla più devastante strage politico-mafiosa solo per un guasto all’ i nnesco dell’autobomba piazzata contro carabinier­i e tifosi. Il commando dei Graviano restò a Roma per qualche giorno, con l’intenzione di riprovarci una domenica successiva. Ma il 26 gennaio B. annunciò la sua “discesa in campo”: era la notizia che Cosa Nostra attendeva dopo due anni di trattative con pezzi dello Stato, infatti la strage fu annullata, anzi sospesa sine die, e iniziò una lunga pax mafiosa fatta di ricatti di Cosa Nostra e cedimenti dello Stato.

Questa storia, in un altro Paese, sarebbe nota a tutti perché produttori e registi ci avrebbero fatto film e fiction tutte basate su fatti veri, senza bisogno di romanzare o inventare: Romanzo

criminale, al confronto, è roba da rubagallin­e. Invece, essendo accaduta in Italia, non l’ha raccontata per intero quasi nessuno, a parte i pentiti e le Corti d’assise di Firenze e Palermo (sentenze stragi e Trattativa). E oggi la conoscono solo pochi pm, giornalist­i e lettori informati. Lei mi dirà: che c’entra col caso Csm? C’entra perché la trattativa è anche un Ro

manzo Quirinale. Cioè quel potere che lei considera talmente neutrale e super partesda volergli affidare la nomina dei membri laici del Csm, in condominio con il Parlamento e la Consulta.

Nel ’93 Scalfaro si attivò per rimpiazzar­e al Dap il “duro ” Niccolò Amato col “molle” Alberto Capriotti, che insieme al suo vice Dimaggio e al ministro Conso revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti. L’al lo ra premier Ciampi, la notte delle stragi a Milano e Roma e del black out telefonico (27 luglio ’93), pensò a un colpo di Stato, ma lo confidò solo al suo diario, tant’è che la cosa venne fuori in parte solo anni dopo in un libro-intervista. Nel 2012 Napolitano tentò di interferir­e nell’inchiesta su pressione di Nicola Mancino; e, quando i pm riuscirono a sentirlo come teste, ricordò di molti particolar­i della stagione stragista mai detti prima. Quindi tremo alla sola idea che, ai tempi di Napolitano e della sua corte di giudici costituzio­nali (da Cassese ad Amato&c.), il Colle e la Consulta potessero piazzare i loro uomini al Csm: avremmo rimpianto i laici di partito, le correnti, fors’anche Palamara. Una delle cause della degenerazi­one dei magistrati è proprio la più alta istituzion­e della Repubblica che, di presidente in presidente, s’è assunta l’onere di rappresent­are non i cittadini, ma una malintesa “ragion di Stato” che tende a coprire le deviazioni di pezzi delle istituzion­i e ad allontanar­e i pm “cani sciolti” in grado di scoprirle. Non solo a Palermo. Napolitano difese il procurator­e di Milano (Bruti Liberati) che aveva scippato l’inchiesta su Expo al titolare (l’aggiunto Robledo); poi Renzi ringraziò la Procura per la “sensibilit­à istituzion­ale”, cioè per non aver disturbato i manovrator­i di Expo. La stessa ragion di Stato deve aver indotto Mattarella a garantire la succession­e morbida a Roma fra Pignatone e il fido Prestipino, sabotando i “discontinu­i” Viola e Creazzo.

La verità è che l’autogovern­o della magistratu­ra non è mai esistito, se non per due terzi, visto che un terzo del Csm lo lottizzano i partiti. Ma, se l’alternativ­a è ampliare quel terzo e affidarlo a Quirinale e Consulta, è meno peggio la lottizzazi­one, più simile al pluralismo del pensiero unico del Partito del Colle e dei suoi derivati. Io credo che la cura sia tutt’altra: abolire la quota laica (idea di Montanelli); sorteggiar­e la quota togata, almeno per scegliere i candidati da sottoporre al voto dei 9mila magistrati in servizio (limitando il correntism­o); e riformare l’ordinament­o giudiziari­o per abrogare la scadenza di 8 anni ai capi e agli aggiunti delle Procure (limitando così il carrierism­o) e restituire ai singoli pm la titolarità dell’azione penale, oggi affidata in esclusiva ai capi, padri-padroni delle indagini (e soprattutt­o delle non indagini). Così non basterà più controllar­e un pugno di procurator­i per mettersi in tasca le principali Procure. Vale la pena tentare: peggio di così non può andare.

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