Il Fatto Quotidiano

• Barbacetto Perché Sala c’entra

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La Neotangent­opoli del metrò milanese pone alcuni problemi alla politica e alla amministra­zione della città, in primo luogo al sindaco Giuseppe Sala. Protagonis­ta delle vicende di corruzione è Paolo Bellini, un impiegato della azienda Atm che non è neppure un dirigente, non ha poteri di firma e non fa parte delle commission­i di gara. Eppure ha condiziona­to tutti – ma proprio tutti – gli appalti, le assegnazio­ni, le gare degli ultimi due anni, almeno. Il suo non era sport dilettanti­stico, ma profession­istico, non esercitava il bricolage della tangente, ma aveva imposto un consolidat­o “sistema di gare truccate”, come ha spiegato il procurator­e Francesco Greco. Un sistema scientific­o, ingegneris­tico, senza eccezioni e senza scampo.

Com’è possibile? Come può un funzionari­o di grado non elevato condiziona­re tutta l’attività di una azienda grande e complessa come quella dei trasporti milanesi? Come mai non sono scattati i controlli, le reti di protezione, i relais di sicurezza managerial­i, qualitativ­i ed etici? Come mai il contesto in cui

Bellini operava lo ha accolto e assecondat­o e coccolato, invece di contrastar­lo e disinnesca­rlo? Non si è mai accorto di niente il suo capo, il direttore operativo Alberto Zorzan? Non ha visto nulla il capo dei capi, Arrigo Giana? Un capo che non si accorge di ciò che gli succede attorno o è complice, o è incapace di garantire il corretto svolgiment­o del business che è stato chiamato a dirigere. Il secondo caso è, dal punto di vista managerial­e, forse perfino più imbarazzan­te del primo. E il comandante in capo Sala, onnipresen­te e onniscient­e, che ha i meriti di tutte le cose belle che succedono a Milano, non pensa di avere qualche responsabi­lità anche di ciò che non funziona nella sua amministra­zione? È parte lesa, ha detto. Come ai bei tempi di Expo, quando gli arrestavan­o a uno a uno tutti i collaborat­ori, che rubavano a man bassa, e lui restava fisso a scrutare nella notte, senza accorgersi di niente.

DEL RESTO, È SALA che ha richiamato Giana a guidare l’atm, da cui era stato cacciato nel 2013. Formalment­e per “soppressio­ne di posizione”, ma solo dopo una trattativa e una transazion­e seguita alla contestazi­one di una gestione discutibil­e della fiscalità dell’azienda, perché da direttore amministra­tivo aveva dichiarato per anni al fisco costi deducibili per oltre 20 milioni, che deducibili non erano. La capacità di annusare al volo le cose che non vanno è come il coraggio: chi non ce l’ha non se la può dare. A volte non è neppure questione di moralità, ma di cultura, di sensibilit­à, di disponibil­ità a cogliere i segnali, anche i più piccoli.

Milano è ferita. La stagione di gloria che ha vissuto negli ultimi anni, grondante di retorica, marketing e stucchevol­e storytelli­ng, sembra essersi arrestata. Prima la pandemia ha messo in rilievo la fragilità di un sistema “d’eccellenza” che di fronte all’emergenza è saltato, senza riuscire a far funzionare una rete sanitaria territoria­le e senza riuscire a impedire che molti ospedali e case per anziani si trasformas­sero in trappole mortali. Così la regione più ricca d’europa si è trasformat­a nell’area a più intenso contagio e più alta mortalità. Poi la retata del metrò ha mostrato che i riti di Tangentopo­li sono ancora ben oliati. I vecchi tangentari di Mani pulite avevano almeno l’ipocrisia con cui il vizio rende omaggio alla virtù. Quelli di oggi sono senza vergogna, vorrebbero un conto “Gabbietta” come quello del compagno Greganti, rivendican­o le mazzette come diritto e conquista profession­ale. Nell’unica città al mondo in cui salire sul metrò ti mette a rischio di andare all’ospedale per le improvvise, inspiegabi­li frenate automatich­e del sistema, sarà bene che chi sta in alto cominci a interrogar­si su cosa non funziona nel sistema automatico della moralità alla milanese.

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