Gli strozzapreti e l’amore-odio: è poesia, Bellezza!
Dario, una penna del 900
La prima volta che ho ascoltato il nome di Dario Bellezza ero nello studio di Enzo Siciliano, diventato la sede della nuova serie di Nuovi Argomenti. Enzo mi disse che era salito da lui un giovanotto magro, alto, con un gran ciuffo in testa, vestito con un cappotto nero. “Mo o lt o gay”, aggiunse.
ERA L’INVERNO DEL 1966. Aveva depositato una busta gialla, in cui c’era il suo lungo racconto arbasiniano La rapida ira, che uscirà sulla rivista due anni dopo. Era amico di Pasolini fin dal 1962 e dal 1963 di Elsa Morante che lo presentò a Moravia. Ci conoscemmo a casa di Amelia Rosselli quando ancora era un suo pigionante scontroso.
Poi capitò a casa dei miei genitori per correggere le bozze delle sue prime poesie: La vita idiota. Vestiva ancora rigorosamente di nero. Quell’aria smunta commosse mia madre che per lui cucinò gli elaborati strozzapreti.
Uscirà nel 1970 L’innocenza con la presentazione di Alberto Moravia, romanzo che nel 1992 Mondadori ristampò in edizione economica con il titolo Storia di Nino. Moravia lo lodava come un autore “reale” a dispetto della vocazione all’irrealtà della neoavanguardia, sottolineando il rapporto tra innocenza e corruzione attraverso le peripezie erotiche di un quindicenne. Nella finta madre che lo accalappia c’è parso di riconoscere l’ombra di Elsa Morante. Quella fu la prima proiezione di Dario su una donna che di materno non aveva nulla. Scrisse poesie e romanzi sul suo rifiuto e quando uscì La Storia firmò ben due recensioni, una positiva e l’altra negativa, cosa che disturbò Moravia che gli scrisse una lettera il 23 maggio 1976: “In altre parole io vorrei sapere la verità su questa ossessione che a quanto pare dura dal 1969... che cosa devo pensare dei due articoli?... Un simile drastico cambiamento di giudizio deve essere per forza originato da motivi extra-letterari, cioè personali... Tu dovresti riparare in qualche modo... si tratta di uscire definitivamente dall’imbroglio dei fatti personali”. A un’altra lettera, in cui Dario lo pregava di scrivere una recensione al suo libro su Elsa, Moravia rispose: “Mi costringi a entrare in un discorso personale che mi sono finora studiato di evitare”.
Dopo Elsa, la più amata-odiata, ci furono altre due madri impossibili: Amelia Rosselli e Anna Maria Ortese, che però viveva lontana da Roma. Il rapporto burrascoso con la Rosselli l’ho raccontato in M is s Rosselli parlando del libro di poesie più bello, Invettive e licenze, del 1971, in cui nella prefazione Pasolini lo dichiara “il miglior poeta della nuova generazione” ma anche l’ “Himmler” di se stesso, il primo piccolo borghese che si giudica in maniera “pretesca”. Dario gridò la sua sofferenza in quanto omosessuale in versi e in prosa (si leggano almeno Lettere da Sodomae Il carnefice), dove né
Pasolini né Penna avevano osato. Inoltre aveva agitato il suo io pimpantissimo davanti alla neoavanguardia che lo voleva cancellato, resuscitando il personaggio del poeta, non quello dei “colletti bianchi” alla Alfredo Giuliani che lo bollò come un “minus habens”.
Lo ricordo deluso al festival di Castelporziano del 1979, in cui aveva invitato i “minestrones” a salire sul palco nudi. Anche Dario credette che la morte della poesia (in Morte segreta accennava alla sua morte) era avvenuta già ne 1975 con il massacro di Pasolini. L’ossessione per quella morte gli fece firmare due libri in cui nel primo sosteneva che erano stati i suoi nemici gay a ucciderlo e nel secondo che invece furono i fascisti di Ordine Nuovo, come aveva sempre sostenuto Laura Betti, grande amica. Poi Dario si ammalò di Aids, cercò cure che furono palliativi. La società letteraria e quella televisiva, che da ultimo aveva frequentato, lo avevano abbandonato. Pochi amici lo aiutavano a sopravvivere, portandogli da mangiare.
Vedendolo come un ecce homo tutto ossa, chiamai sua sorella e sua madre. Loro lo ricoverarono allo Spallanzani. Dario Bellezza morì intubato, cercando di dirmi qualcosa che non riuscii a decifrare, il 31 marzo 1996. Con Veneziani, Gregorini e la sorella organizzammo il funerale nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. Nella chiesa sconsacrata di Santa Rita dei Poverelli approntammo una commemorazione laica con gli amici e i lettori. È sepolto nel cimitero acattolico di Testaccio, per suo volere, accanto alla Rosselli.
“L’innocenza”, 1970 L’amore-odio per la Morante, gli strozzapreti di mamma, l’elogio di Pasolini e la morte per Aids, solo