Il Fatto Quotidiano

NON È TUTTO “SHARE” QUEL CHE LUCCICA, IL SUCCESSO PUÒ RISULTARE RELATIVO

- DANIELE LUTTAZZI

La proposta dell’ad Rai Fabrizio Salini, approvata dal Cda (taglio ai compensi; taglio alle produzioni esterne; limite allo strapotere degli agenti, che non potranno avere piu del 30% di artisti in un singolo programma; stop alla sovrapposi­zione dei ruoli di conduttore, agente e produttore), è tardiva, ma sacrosanta: il predominio dei super-agenti distorce il mercato, favorendo i puledri delle loro scuderie a scapito dei purosangue bradi; ed è pericoloso per i puledri stessi, che in caso di contenzios­o col produttore si ritrovano come contropart­e l’agente che invece dovrebbe tutelarli.

Fabiofazio l’ha presa come una decisione contro di lui, poiché il suo programma lo conduce e lo produce; e ha dato un’intervista al FQ dove si difende. Quando si parla del suo caso, però, andrebbe sempre fatta una premessa: ai giornalist­i che chiedono alla Rai perché non abbia mai pubblicato ufficialme­nte i costi del programma di Fabiofazio, la Rai (2018) replica che “non può infrangere quel margine di riserbo industrial­e che le consente di poter operare su un mercato fortemente concorrenz­iale”. Finché non si risponde con dati ufficiali, pertanto, ogni discussion­e è campata in aria; ma anche ogni difesa. Al di là di questo, i lai interessat­i di Fabiofazio mi lasciano perplesso, perché non battono pari. Per esempio, si sa che il suo programma, Che Tempo Che Fa, costa 400mila euro a puntata. Fabiofazio replica: “Si, ma di solito in quella fascia va una fiction di due ore, a una media di 750mila euro l’ora”. Nessun giornalist­a, finora, ha ribattuto a questo argomento come si deve: è vero che le fiction costano di più (la Rai afferma che i costi a puntata per intratteni­menti come le fiction arrivano a 1,1 milioni per i top di gamma), ma fanno guadagnare molto di più, sia perché fanno più ascolti (nel 2017, la fiction Scomparsa, con Vanessa Incontrada, in prime time su Rai1, faceva il 27% di share, e quindi gli spazi pubblicita­ri fruttavano di più), sia perché le fiction vengono vendute all’estero più volte ( Il Commissari­o Montalbano è venduto in 20 Paesi, un talk-show di Fabiofazio non puoi rivenderlo). Il paragone, quindi, è sbagliato. Procediamo. Il successo di un programma è indicato da due resti. Il primo è la differenza fra lo share ottenuto e lo share della rete in quella fascia oraria (chiamiamol­o “indice O R”). Dice Fabiofazio: “Prima del mio arrivo (2017), Rai1 faceva in media il 15,19%: con me il 16,3 il primo anno e il 15,49 il secondo.” L’errore qui è riferirsi al dato medio: ci si deve riferire alla stessa fascia oraria, il prime time. Se infatti la media di Rai1 nel 2016 fu 16,7%, nel prime timefu 18,9% (dati Studio Frasi su base Auditel). L’altro indice importante per valutare i risultati di un programma è la differenza fra share atteso (quello venduto ai pubblicita­ri) e share ottenuto (“indice AO”). I giornali si limitano di solito a confrontar­e gli share dei programmi, ma in questo modo i vincitori di una serata sono spesso fasulli. Mi spiego: per i giornali, uno show che fa il 5% vince su un altro show nella stessa fascia oraria che fa il 3%. Ma se il primo aveva uno share atteso del 10%, e il secondo invece del 2%, è il secondo, col suo 3%, ad avere avuto successo. Bene: lo share atteso dalla Rai per il programma di Fabiofazio su Rai1 era del 18% ( FQ , 17 mag 2018).

(1. Continua)

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