Veneto City, stop alla “cattedrale” di Galan e Zaia
Addio Veneto City. Addio alla cattedrale dell ’ era di Giancarlo Galan. Addio al progetto (caro anche alla Lega) di 2 milioni di metri cubi di cemento nel cuore della Riviera del Brenta, la campagna veneta cara a pittori come Tiziano. Dopo oltre dieci anni di battaglie viene messa una pietra tombale. La parola fine arriva dal comune di Dolo (centrosinistra) su cui avrebbe dovuto sorgere la parte più rilevante dell’operazione mobiliare. La società che doveva realizzare il progetto - sollecitato dall’assessore all’urbanistica, Matteo Bellomo (Pd) - ha manifestato il venire meno dell’ interesse a costruire. Immediatamente il Comune ha deliberato la decadenza dell ’accordo di programma (firmato nel 2011). Adesso la parola è passata alla Regione che deve eliminare il progetto dal Piano Territoriale Regionale di Coordinamento.
Caso chiuso. Ma Veneto City è molto più di un’operazione immobiliare. È il simbolo della cementificazione della regione, quando in cinque anni furono rilasciate concessioni per 94 milioni di metri cubi di nuove costruzioni, l’equivalente di una palazzina alta e larga dieci metri e lunga 1.800 chilometri. A poca distanza (a Fiesso) doveva sorgere un altro complesso, la Città della Moda, anch’esso, pare, abortito. Era l’epoca d’oro di Giancarlo Galan (il Doge berlusconiano, poi travolto dagli scandali). Tra i suoi assessori - era vicepresidente della Giunta - anche l’attuale governatore Luca Zaia. E la Lega, si diceva è sempre stata favorevole al progetto. Ma altre figure chiave del Veneto degli anni di Galan avevano puntato su Veneto City: da Luigi Endrizzi, l’uomo che realizzò il polo di Padova Est, a Piergiorgio Baita, l’allora signore della Mantovani costruzioni toccato dallo scandalo Mose. Tra gli interessati c’erano anche gli Stefanel, il marchio rivale della Benetton che oggi è finito all’asta. Un mondo al tramonto.