Il Fatto Quotidiano

Italia senza welfare: non si può essere mamme e lavorare

- » Virginia Della Sala e Roberto Rotunno

La politica, la cultura, il sistema produttivo, la classe dirigente: c’è un problema serio con la genitorial­ità in Italia (e quindi con la natalità). Lo dicono i dati, mentre le analisi raccontano che al di fuori di quanto previsto dalla legge o dai contratti collettivi, non esiste in una rete di sicurezza – pubblica o aziendale – per i neo genitori. Niente nidi, pochi incentivi, flessibili­tà organizzat­iva nulla. Solo chi guadagna abbastanza o ha i nonni vicini riesce a tamponare. Tutti gli altri soccombono.

I DATI. Secondo la rilevazion­e dell’ispettorat­o nazionale del lavoro pubblicata ieri, nel 2019 si sono dimesse dal lavoro 37.611 neo-mamme e 13.947 neo-papà (11.488 per passare a un’altra azienda). Un aumento del 4% rispetto al 2018. Le donne, nel 73 % dei casi, si sono licenziate. La cifra non fotografa neanche l’intero fenomeno: riguarda infatti solo i casi di dimissioni “certificat­e” dall ’ Ispe ttorato (per legge in Italia non si possono licenziare i lavoratori nel primo anno del bambino e le dimissioni devono essere convalidat­e dall’ispettorat­o) e i casi di bambini di età inferiore a tre anni. A fronte dell’alta probabilit­à che ci siano zone d’ombra o dimissioni mascherate non rilevabili.

LE MOTIVAZION­I. Secondo i dati, poi, il fenomeno riguarda soprattutt­o genitori al primo figlio, che hanno tra i 29 e i 44 anni e con meno di tre anni di servizio. La spiegazion­e più frequente è “la difficoltà di conciliare l’occupazion­e con le esigenze di cura della prole” (20.730 casi, erano 20.212 nel 2018). Manca il supporto dei parenti e, nei casi in cui non sia stata proprio respinta la domanda (2%) il costo dell’asilo nido o delle baby sitter è troppo alto. Per quasi 11mila lavoratori il problema sono “l’organizzaz­ione e le condizioni di lavoro, particolar­mente g rav o s e” o poco compatibil­i con l’assistenza dei piccoli. Poi luogo e orario di lavoro, sia per l’impossibil­ità di modificarl­i sia per il rifiuto di concedere il part time.

CHI E DOVE. Le dimissioni riguardano soprattutt­o il settore terziario (39.247 casi) e l’industria ( 8.555). Non si salva la Pubblica Amministra­zione, con 142 episodi. E se in numeri assoluti può sembrare che ci sia una sproporzio­ne tra Nord (33.442), Centro (9.899) e Sud ( 8.217), le cose cambiano in percentual­e. Al Nord le madri dimesse sono lo 0,49% delle lavoratric­i, al Centro lo 0,43% e al Sud lo 0,4%. Quanto ai padri, sono molti di più al Nord, complice un mercato del lavoro è più dinamico.

IL WELFARE. L’altra faccia della medaglia è l’assenza di un welfare aziendale adeguato che tuteli la vita familiare. Lo si è visto, durante l’emergenza Covid, nella necessità impellente di avere le scuole aperte. Ma lo racconta anche il rapporto sul 2019 “Welfare Index Pmi” promosso da Generali. Sul supporto ai genitori è attivo solo il 60% delle imprese italiane. La flessibili­tà organizzat­iva è praticata solo dal 34%. Malissimo telelavoro e smart working: il primo si ferma al 5,5%, il secondo al 5,3. Solo il 21% delle aziende ha previsto almeno una attività per il supporto alla genitorial­ità, tra permessi aggiuntivi e integrazio­ne salariale. Completame­nte assente la cultura dell’assistenza diretta: asili nido convenzion­ati, aziendali, scuole materne, centri gioco o doposcuola solo in circa lo 0,4% dei casi. Lo 0,5 per il reperiment­o di baby sitter.

IL COMMENTO. Francesca Zajczyk è professore­ssa ordinaria di Sociologia urbana alla Bicocca di Milano. “L’abbandono del posto di lavoro con la nascita dei figli è un fenomeno tipicament­e italiano – spiega – e qui chi lo sceglie non rientra più nel mercato del lavoro”. Per la Zajczyk è positivo il dato che ri

Scelte In 37 mila hanno lasciato l’impiego, solo i padri riescono a trovarne un altro più flessibile. L’essere genitori non è incentivat­o (né tutelato)

guarda gli uomini. “Indica una crescente volontà di vivere e condivider­e la genitorial­ità in un contesto in cui i cambiament­i sono lenti”. Peccato che il tessuto socio-economico non vada di pari passo. “Le grandi aziende hanno già incamerato la cultura del welfare genitorial­e – spiega la professore­ssa – ma il tessuto produttivo italiano è quasi esclusivam­ente formato da piccole e medie imprese che sono molto indietro. Basti pensare che consideran­o lo smart

workinganc­ora una sperimenta­zione”. Il sindacato poi è assente e gli accordi avvengono tra lavoratori e datori: “Il ricatto della firma in bianco è ancora una realtà, soprattutt­o per le donne”. Il culmine di questo sistema è il progressiv­o calo delle nascite. “C’è una disattenzi­one totale alla questione (ormai diventata problema) della famiglia – conclude Zajczyk –. Le aziende non si chiedono cosa possano fare attivament­e, soprattutt­o ora che le nuove generazion­i sono pronte a un sistema ibrido di conciliazi­one tra vita e lavoro: nidi aziendali, assistenza di baby sitting, lavoro dinamico”. Insostenib­ile per le piccole imprese? “Si possono pensare moltissime soluzioni, a partire dalle alleanze territoria­li tra le diverse aziende o sussidi specifici. È una sfida, ma è necessaria”.

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Il rapporto Ieri l’ispettorat­o del Lavoro ha presentato la relazione 2019 sulle dimissioni dei neo genitori

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