Con Daniela Mazzucato e Marco Scolastra, “La voce umana” ritrova le giuste note
Nel 1959 andò in scena all’opéra Comique di Parigi, sotto la direzione di Georges Prêtre, un vero esperimento drammatico: La voix humaine, un lungo monologo per soprano di Francis Poulenc. L’autore volle denominarlo, all’antica, Tragédie Lyrique. Il testo è di Jean Cocteau ed esordì nel 1930. Una grande novità drammaturgica è che tutto si svolge a telefono. La protagonista parla con l’uomo che, dopo una relazione di cinque anni, l’ha appena lasciata; il telefono nel teatro d’opera appare per la prima volta in Intermezzo di Richard Strauss, rappresentato nel 1924. L’invenzione di Cocteau è diversa: il telefono, l’unico mezzo con il quale la sventurata comunica col mondo esterno, diviene un altro protagonista, o deuteragonista. Non sappiamo il nome della donna né udiamo la voce dell’ex amante; tutto il dialogo va desunto dal blaterare psicopatico di lei, tra continue scariche, interruzioni, sovrapporsi di altre voci.
SOLO COCTEAU avrebbe potuto immaginare un carattere così sciocco insieme ed egocentrico; la pazienza dell’uomo che l’ascolta dev’essere senza fine, giacché sarebbero bastati cinque minuti, non cinque anni, a decidere di troncare ogni rapporto con una donna simile. Fra estenuanti ripetizioni, ella tesse un filo di bugie; apprendiamo che dopo l’abbandono è trascorsa anche per