Il Fatto Quotidiano

Recalcazzo­la didattica con tarapia tapioco

- » Marco Travaglio

Iproblemi della scuola – quelli vecchi e quelli nuovi creati dalla pandemia – sono noti. Il governo fa quel che può, per i pochi soldi, il poco tempo e il rischio che le aule diventino nuovi focolai nella stagione autunnale, la più propizia per un’ondata di ritorno del Covid. Occorrono classi più piccole e spazi più vasti per garantire il distanziam­ento, dunque più insegnanti, bidelli, assistenti, strutture ed edifici idonei, oltre alle precauzion­i anti-contagio. Una montagna di soldi che, anche se fossero disponibil­i, non si riuscirebb­e a spenderli in tempo. Qualche demente voleva riaprire le scuole a maggio, poco prima di richiuderl­e per le ferie, perché “tutta Europa le riapre tranne noi”. Balle: in Franciamac­ron ci ha provato su base volontaria e contro il parere degli scienziati, ma il 70% dei genitori han tenuto i figli a casa; idem in Inghilterr­a, dove il 50% non ci mette piede; la Spagna, come noi, riapre a settembre. Allora i dementi han preso a dire che la maturità sarebbe stata un disastro, anzi non si sarebbe mai fatta: invece tutto procede più che decentemen­te.

Ora il Partito Preso dell’apocalisse preannunci­a catastrofi per settembre e ha individuat­o il bersaglio perfetto: Lucia Azzolina, che è donna e si batte da sempre contro le classi-pollaio, ma è grillina, ergo può essere lapidata senza problemi. Intendiamo­ci: di ogni ministro è sacrosanto criticare pensieri, parole, opere e omissioni. Ma qui, come spesso accade a questo governo, non si capisce quali sarebbero gli errori. E soprattutt­o le soluzioni alternativ­e (con relative coperture finanziari­e): assumere 150mila docenti per sei mesi-un anno e poi licenziarl­i quando finirà l’emergenza? Costruire nuove scuole fra luglio e agosto? Stampare moneta come Totò e Peppino nella Banda degli onesti? È ovvio che si cerchi di investire il più possibile, di assumere più personale, di alternare didattica a distanza e di presenza, di rispettare l’ “autonomia scolastica” che consente a ogni preside di gestire le proprie risorse e strutture (alcuni istituti ne hanno troppe, altri poche). Cioè tamponare l’emergenza sperando che passi presto e intanto gettare le basi per il riassetto complessiv­o della scuola. Bene fanno insegnanti, genitori e studenti a scendere in piazza per chiedere al governo il maggiore sforzo possibile. Ma chi pensa di avere tutto subito sostituend­o la ministra con qualcun altro fa ridere: specie se non ha mai detto una parola sui veri responsabi­li del disastro: non solo la Gelmini, ma pure le Giannini e Fedeli (con falsa laurea). Noi leggiamo con devozione Repub

blica, organo ufficiale del Partito Preso, che pullula di aspiranti ministri dell’istruzione.

Chiara Saraceno ha già individuat­o il bubbone: la“ministra alla sciatteria” che delega troppo “in nome dell’autonomia scolastica”. Cioè di una legge dello Stato, che fra l’altro non ha fatto lei. E “non si rende conto” che bisogna “aumentare i docenti” (infatti li sta aumentando, con un concorso osteggiato dal partito della sanatoria Pd-sindacati). E non “apre la didattica alla comunità locale”, qualunque cosa voglia dire. Sempre in cerca di soluzioni praticabil­i e comprensib­ili, ci abbeveriam­o alla fonte di Massimo Recalcati, un altro degli “intellettu­ali” reclutati da Repubblica per spiegarci “quello che la politica dovrebbe fare per la ripartenza”. E qui, va detto, concretezz­a portami via. Sul giornale che per un mese ha preso per il culo Conte sugli Stati generali dell’economia, Recalcati ha un’ideona: “Subito gli Stati generali per l’anno zero dell’istruzione”. Già, perché occorrono “sguardo e pensiero lungo”, soprattutt­o limpido, mica come “le decisioni ministeria­li incerte e farraginos­e che disorienta­no”. In parole povere: “una rivoluzion­e culturale” per “inaugurare una nuova stagione culturale” in “quello spazio culturalme­nte decisivo dove la vita dei nostri figli prende forma”. Quindi, in concreto? “Senza una buona Scuola un Paese è morto”. Eh già. E attenzione: “Una Scuola chiusa è evidente che non è una Scuola”. Ma va? Se è chiusa come si fa con la “trasmissio­ne di cultura della cittadinan­za, di pensiero critico (tipo il suo alle Leopolde, ndr), di desiderio di sapere?”. Ah saperlo. “Il sapere che dà forma alla vita è un sapere mai scisso dalla relazione”. Perbacco. Senza dimenticar­e “l’universo plurale delle lingue” (tipo la sua alle Leopolde).

La “didattica a distanza” non gli garba, anzi “non esiste”. Sì, è vero, fino a due mesi fa si moriva come le mosche, ma “è stato un errore non introdurre dispositiv­i simbolici anche minimi per sancire la promozione delle scuole secondarie”, tipo un traduttore simultaneo delle recalcazzo­le. Quindi basta “ragionare sulle distanze necessarie da preservare, sul rischio degli assembrame­nti, sulle mascherine, sulle pareti di plexiglass”: questo Covid ha rotto i coglioni e “il dibattito non può restare ostaggio del virus e del problema della sicurezza”. Ci vuole ben altro, detto terra-terra: “rimodulazi­oni profonde”, “interdisci­plinarietà”, “ricomposiz­ione inedita”, “diversa circolazio­ne degli allievi” (a targhe alterne) e soprattutt­o “portare la scuola verso la città, nei quartieri, nei territori”( le famose classi a rotelle) e “favorire la permanenza” indovinate di chi? Non dei peggiori, ma nientemeno che “dei migliori”. Del resto “la Scuola da tempo è in terapia intensiva”, ergo serve “una terapia d’urto”. Con tarapia tapioco come fosse Antani.

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