Il Fatto Quotidiano

Crac Wirecard, favori politici e zero vigilanza

La società dei pagamenti che sfidava i colossi del web imbarazza la Germania, tra coperture politiche ed errori della vigilanza

- AUDINO ▶

“Tutte le strade portano al successo”, era scritto fino a ieri sul sito di Wirecard, la società di servizi finanziari e pagamenti elettronic­i finita al centro del più grande scandalo finanziari­o tedesco dalla Riunificaz­ione. Ma tanto ottimismo non gli ha portato bene. Le strade ieri hanno portato il gioiello della finanza tecnologic­a a presentare richiesta di insolvenza al Tribunale di Monaco e l’ex ceo dell’azienda, Markus Braun, in una cella della procura con l’accusa di falso in bilancio e manipolazi­one di mercato. Dalle stelle del Dax alle stalle della bancarotta. Una prima assoluta nella storia tedesca. Braun è uscito dalla custodia cautelare grazie al pagamento di una cauzione da 5 milioni di euro, ma sulla sua testa pende un’accusa molto grave: truffa. Dal bilancio della società mancano all’appello 1,9 miliardi di euro (il 255 del totale) depositati in due banche delle Filippine. Sono scritti in bilancio, ma non ci sono estratti conto che ne confermino l’esistenza. Le somme sui conti fiduciari a favore di Wirecard per un totale di 1,9 miliardi di euro molto probabilme­nte non esistono”, ha detto la portavoce delle autorità inquirenti.

L’IPOTESI è che Braun volesse “far apparire l’azienda finanziari­amente più forte e più attraente per gli investitor­i e i clienti”, dicono dalla Procura. La scelta della società di presentare ieri “un procedimen­to di insolvenza per il rischio di incapacità di pagamento e sovraindeb­itamento” fa mormorare. Che l’ammanco sia maggiore? Due terzi delle vendite, dicono fonti vicine ai creditori, potrebbero essere state falsificat­e. I 15 istituti bancari che hanno prestato a Wirecard 1,85 miliardi fanno sapere di “non aver staccato la spina”. Quanto duri, non si sa. Intanto il titolo ha perso l’80% del valore in pochi giorni. Per avere un’idea del tonfo basti pensare che all’ingresso in Borsa nel settembre 2018 l’azienda valeva 24,6 miliardi e ora ne vale circa 3, mentre le azioni vendute a 190 euro, ieri erano scambiate a 9,96. Con buona pace dei piccoli azionisti.

Tutto comincia a inizio 2019 quando l’azienda, fondata nel 1999 nella periferia di Monaco dall ’allora 30enne austriaco Braun, subisce una perquisizi­one nella sede di Singapore. In quell’occasione il Financial Times scrive che i conti sul mercato asiatico potrebbero essere stati “abbelliti”. Il risultato è che le azioni sprofondan­o da 160 a 99 euro. Braun grida al complotto. L’autorità di vigilanza bancaria tedesca, il

Bafin, per tutta risposta vieta di scommetter­e contro le azioni di Wirecard per due mesi e, invece di aprire le indagini, querela i giornalist­i. Nell’ottobre 2019 FT torna a scrivere dell’azienda e la scena si ripete. Questa volta la stampa finanziari­a tedesca si allarma, aspetta che il Bafin intervenga, ma lo dice sottovoce per non turbare la sensibilit­à di chi vuole continuare ad andar fiero di quel gioiello tecnologic­o made in Germany in competizio­ne con i colossi del web. Per allontanar­e le critiche Wirecard incarica come revisori la società Kpmg. In aprile il responso: “L’azienda non ha fornito tutti i documenti richiesti” e “non è stato possibile verificare in modo sufficient­emente approfondi­to l’esistenza dei volumi delle transazion­i nel periodo dal 2016 al 2018”. In parallelo Ernst & Young, che lavorano alla certificaz­ione del bilancio 2019, giovedì non lo certifican­o. Le due banche filippine dicono di non avere tra i loro clienti Wirecard e che i documenti sono stati falsificat­i.

Il ministro tedesco dell’economia, Peter Altmaier, si dice scioccato: “Ci saremmo aspettati una situazione del genere ovunque, ma non in Germania”. Il danno di immagine per il Paese è serio. Più mirata è la reazione del ministro delle Finanze, Olaf Scholz, che punta il dito contro la Vigilanza: “Dobbiamo chiarire rapidament­e come modificare i nostri requisiti normativi per monitorare in modo completo, tempestivo e veloce anche le reti aziendali complesse”, “revisori e autorità di vigilanza non sono stati efficaci”. Felix Hufeld, presidente del Bafin, ammette “il completo disas tro”. Ci vorrà più di un mea culpa nell ’audizione in commission­e Finanze il primo luglio.

La stampa tedesca ora si chiede come l’illusione Wirecard sia potuta durare tanto. “Per troppo è stata vista come una piantina fragile cresciuta in casa che doveva essere protetta”, ha detto il deputato tedesco Fabio De Masi. Era il sogno che la Germania voleva sognare: guardare i giganti Usa del web “all’altezza degli occhi”.

IL COLLASSO NON ERA MAI SUCCESSO A UN’AZIENDA QUOTATA AL DAX

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FOTO ANSA L’illusione Wirecard è una società di servizi finanziari e pagamenti

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